•Capitolo XXXII

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— Padre... padre, dov'è la mamma? — sussurro, aggrappandomi al tessuto dei suoi pantaloni, troppo bassa per arrivare persino alle sue mani. Posa il suo sguardo su di me e con un sussulto lascio la presa sulla sua gamba.

— Se n'è andata. Dimenticati di lei. Sarebbe meglio che tutti ci dimenticassimo di lei.

Inizio a singhiozzare ancor prima che mi renda effettivamente conto delle sue parole, ma a lui non importa già più. Si sistema i polsini della camicia e si dirige verso l'uscita della stanza.

Non so perché lo chiamo un'altra volta, forse perché ho davvero bisogno di lui in questo momento in cui non riesco nemmeno a elaborare il peso delle sue parole.

Arresta il passo per un istante e poi riprende a camminare, scomparendo dalla mia visuale.

Sono di nuovo sola.

*  *  *

— Abigail! — grida qualcuno, e per lo spavento spalanco gli occhi. — Stai bene?

Esistono diversi modi per elaborare il dolore, e io padre ha scelto il peggiore: non farlo proprio. Ha ridotto sé stesso in una facciata gelida delle sue emozioni, forse per non soffrire, forse per non fare soffrire la propria figlia di appena quattro anni, ancora troppo piccola per capire che la propria madre non sarebbe ritornata mai più. Solo adesso mi rendo conto che, forse, non si voltò per paura di crollare in pezzi proprio di fronte a me.

Derek mi scuote per le spalle e m'invita a riportare il suo sguardo su di lui, prima fisso sulle ventose colline dello Jeshire, campagna poco lontana da qui.

Inspiro profondamente e costato che i miei polmoni sono finalmente liberi di immagazzinare aria, ma quando il mio sguardo si posa si Derek resto senza fiato.

Il suo viso è deturpato da ogni genere di bruciatura, che corre fin sotto il collo, costellato da ustioni sia lievi che gravi. Non trovo parole per esprimere quanto mi senta in colpa in questo momento. — Lasciami qui, te ne prego — mormoro. — Vattene prima che sia troppo tardi.

Scuote la testa. — Ho consumato troppo energie per venire qui, quindi mi servi — dice stancamente. — Oggi sarai il mio taxi privato — mormora con una punta di soddisfazione.

— Molto interessante. È sempre stato il sogno della mia vita — esclamo. — Come ti vengono in mente certi colpi di genio?

— Sinceramente non saprei, mi arrivano sul momento. Non si possono prevedere — afferma. Sospira e il suo sguardo diventa riflessivo. — Dobbiamo trovare un modo per farti riprendere le forze in fretta — mormora, — ora sei in grado di smaterializzarti? — Provo a effettuare l'incantesimo ma il mio corpo sembra bloccato. Un'ondata di dolore mi travolge e io stringo i denti dal dolore. — Non ti preoccupare — mormora, prima che possa anche solo aprire bocca. — Togliti la camicia, devo vedere che cos'hai.

Annuisco seppur con una certa riluttanza, ma non è il momento per lasciarsi prendere dal pudore. Sbottono la camicia il più velocemente possibile mentre Derek osserva l'orizzonte. — Ho fatto — affermo richiamando la sua attenzione, e quando si volta verso di me il suo sguardo indugia sul mio seno. — Sono piuttosto sicura che la ferita non sia lì — lo richiamo, mentre sulle sue guance prende largo un leggero rossore.

— Oh... s-sì — bisbiglia scuotendo la testa. Riporta il suo sguardo sul mio ventre e sfiora la ferita – che assomiglia a un lungo taglio – che adesso è coperta da un leggero strato di ghiaccio. — Va bene, non è messa così male — mormora. — I tessuti della pelle cominciano a rimarginarsi, ma molto lentamente — constata, posando, in un gesto involontario, la mano sulla fronte. — Dobbiamo velocizzare il processo. Qual è il punto dove è presente più potere magico?

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