•Capitolo VIII

2.2K 166 42
                                    

Il sangue impazza nelle mie vene e i polmoni stanno per collassare, me lo sento. Svolto ancora a destra ma nemmeno questa volta la scuola è di fronte a me, così sono costretta a stringere i denti e aumentare la velocità della mia corsa finché la struttura non appare in fondo alla strada. Mi appoggio ad un muretto ed espiro con forza per riprendere fiato, appoggiandole mani sulle ginocchia. Quando finalmente riprendo fiato, procedo verso la scuola a passo deciso, nonostante sappia di essere in orario.

Osservo i miei piedi marciare nel mezzo del cortile anteriore e una voce gridare il mio nome.

— Lo so che mi hai sentito! — continua. Il suo tono femminile è acuto e raschiante. — Dai, vieni qui che facciamo una chiacchierata. — mi chiama. Sogghigna con altre ragazze e mi chiedo tanto cosa ci sia da ridere. Mi volto e tento con tutte le mie forze di afferrare il volto della ragazza di fronte a me benché sfugga alla mia memoria.

Quando lo rammento, una sensazione di irritazione scava feroce le mie vene, alimentata da un'emozione marchiata a fuoco nella mia mente: impotenza. L'impotenza che mi ha svuotato le labbra e che mi ha proibito di ribatterle. Non voglio sentirmi così mai più.

— Giselle — sussurro a denti stretti. — Allora, dimmi: mi continui a tormentare perché non hai una tua vita all'infuori di Derek?

— Ma come osi? — squittisce. Avanza di un passo nella mia direzione sinuosamente, come una pantera aggraziata pronta all'attacco. — Mi stai dando sui nervi.

— Ah — esalo. — Beh, allora scusa il disturbo. Me ne vado — mormoro, provando a voltarle le spalle.

— Tu non vai da nessuna parte.

— Cosa vuoi da me? — biascico.

— Sta' alla larga da Derek. Lui è mio. Tu non vali nulla. Nulla.

Esalo un sospiro arrogante e non lascio trapelare quanto, in realtà, mi abbia ferito. — Allora perché perdi il tuo tempo con me? — chiedo alzando le sopracciglia.

— Perché tu — sibila, e vedo il suo indice avvicinarsi a me come se fosse una maestrina, — oltre ad essere veramente seccante, è giusto che io ti dia una lezione — continua, sfoderando il sorriso più bonario possibile. — si vede che tua madre non ti ha impartito nemmeno un minimo di educazione. — sussurra. Il suo sorriso muta e si trasforma in quello che davvero è: una maschera crudele.

L'ira s'infrange su di me, sia dentro che fuori: riesco quasi a vederne la sua consistenza spinosa che si frantuma contro la mia visuale come onde su uno scoglio, impetuose, inferocite. Sento il mio cuore scoppiare e il sangue irradiarsi in ogni angolo del mio corpo senza controllo.

Come ha osato anche solo nominare mia madre? Come ha osato nominare la mia educazione? Che ne sa lei della mia vita?

Ho sperato molte volte di avere un confronto con lei, per accertare a me stessa di essere diversa da così. Ma non lo sono. Ma questa volta riuscirò a ribattere.

Scarico la frustrazione che ripongo verso di lei e verso me stessa senza esitazione. Ignoro ciò che dovrei fare e ascolto ciò che mi sarebbe proibito. Le tiro un pugno sul suo naso all'insù e ruzzola a terra. Ha perso la sua grazia e anche io.

Si copre la faccia e nonostante l'interferenza delle sue mani riesco a sentire forte e chiaro gli insulti che mi sta sputando addosso senza ritegno. Le sue ingiurie mi scivolano addosso e, per la prima volta, serro le labbra e le volto le spalle. Non si può provare niente quando dentro non si ha niente.

Non mi sento meglio. La sua frecciatina rimbalza nella mia mente e mi tormenta, mi rattrista.

Mia madre, spettro di una presenza assente nella mia vita. Di lei possiedo solo vaghe reminiscenze, ma non ho idea fino a che punto siano realtà. Mio padre ha sempre schivato l'argomento; non posso nemmeno immaginare il dolore che grava sulle sue spalle: io ho perso una madre sconosciuta, ma lui ha perso sua moglie, scomparsa portandosi via tutto.

WitheredDove le storie prendono vita. Scoprilo ora