Arrivata a casa, mi aspettavano un molto divertito Jacques, una Éloise imbufalita e un César piuttosto calmo e – strano a dirsi! – taciturno. Di Manuel non c'era traccia, ma sentivo l'acqua tirata nella doccia e non mi fu difficile indovinare che ci fosse lui sotto il getto.

Sospirai mentre lasciavo le chiavi di casa sulla mensola vicino alla porta. Mi sfilai le scarpe e le lasciai nella scarpiera. Intorno a me tutto era silenzio, ma giuro che se avessi potuto ascoltare il suono del furore di Éloise sarebbe stato fastidioso e trapanante come la sirena di un'ambulanza.

«Ciao, amore», cinguettai.

Jacques, lo devo proprio dire, fu un grande attore. «Mia madre mi ha detto che ti ha vista con un altro!», sbottò.

Dovevo fare uno sforzo per non mettermi a ridere. Non potevo negare, perché ci eravamo squadrate per bene, Éloise ed io, così dissi semplicemente: «Ma, amore, è solo un amico».

Lui fece per aprire la bocca e replicare, ma sua madre lo anticipò: «Solo un amico!», ripeté con voce stridula. «Certo! E ti aspetti che ce la beviamo?».

La fissai fingendomi offesa. La verità è che le avrei riso in faccia. «Ma è vero! Se mi ha davvero vista, saprà che non c'è stato nulla di compromettente tra me e George».

Jacques tirò un sospiro. «George?», ripeté. «Oh, cavolo, vi siete visti e non mi hai detto niente? Dovevo essere il primo a saperlo!».

Stava mandando a puttane la nostra pantomima, ma sua madre nemmeno lo notò, tanto era impegnata ad additarmi. Starnazzò come una gallina: «Io sono una donna ragionevole!». "Certo, come no", pensai. «Ho sopportato di conoscerti, piccola arrivista...».

«Arrivista?», ripetei sgranando gli occhi.

«...ma se c'è una cosa che proprio non accetto è che mio figlio, il mio Jacques, venga preso in giro impunemente! Sotto gli occhi di tutti, poi».

Jacques, che aveva l'aria tutt'altro che ferita, si lasciò cadere sul divano e rovistò tra i cuscini alla ricerca del controller per la PlayStation. «Smettila, ma', se Léo dice che non è successo niente...».

Éloise lo interruppe, strappandogli il controller di mano. «Non importa, con che coraggio si incontra con altri uomini?». Mi lanciò un lungo e penetrante sguardo omicida e sputò la Parolona Orrenda. «Puttana».

Era troppo. Arrivista? Passi. Italiana? Ovviamente, ma passi anche quello. Puttana, però, no. Era qualcosa che mi toccava da vicino, qualcosa che risvegliava i miei più reconditi sensi di colpa ed era orribile riviverli, non quel giorno, non dopo che avevo ripreso a vedere George.

«Vaffanculo», sibilai, in uno splendido e italianissimo accento urbinate. Presi una sigaretta dal pacchetto che avevo nella borsa e la accesi, sperando che odiasse chi fuma dentro casa. Solo allora tornai al francese. «Frigida del cazzo. Come si permette di venire ad insultarmi in casa mia?».

Stava già per ribattere: «Questa casa...».

Bloccai la sua protesta sul nascere. «Questa casa è anche mia, signora Moreau, così come appartiene a Manuel e a Jacques. E tanto per la cronaca, invece di sputare sugli altri le sue sentenze, perché non controlla la trave nel suo occhio?».

Vidi Jacques irrigidirsi sul divano. «Mamma, non posso credere a quello che hai detto. Non sono affari tuoi, è la mia vita privata».

«Mi preoccupo per te, tesoro».

César, forse intuendo che gli animi erano un po' troppo surriscaldati, disse una delle sue rare frasi polisillabiche: «Éloise, il ragazzo ha ragione».

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