Capitolo 18

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Sentì il telefono squillare per l'ennesima volta, allora lo prese e controllò chi questa volta la stesse cercando. Sullo schermo apparve il nome del redattore Smith che voleva sicuramente delle informazioni e sapere a che punto fosse con il lavoro. Non aveva voglia di parlare con lui, ma soprattutto non aveva voglia di parlare con nessuno. Quando Smith si rassegnò, Holly iniziò a chiamare imperterrita, ma nemmeno lei ricevette risposta. Sbuffando allora decise di spegnere il telefono, quando ricevette la chiamata di sua madre. Così accettò, almeno con lei doveva parlare.
«Pronto?» rispose a bassa voce.
«Samantha! Ma che fine hai fatto? E' da tanto che non abbiamo tue notizie.»
«Lavoro mamma, non posso stare tutto il giorno al telefono.»
«Lo so, ma almeno puoi farci sapere come stai?»
«Come sto?» fece un sorriso guardandosi attorno. La tavola della cucina era stracolma di bottiglie di birra e quella che stava bevendo era la nona o la decima, aveva perso il conto. «Sto..bene.» ridacchiò.
«A me non sembra. Non è che stai bevendo?»
«Mamma, sono molto impegnata e sinceramente non voglio parlare con nessuno.»
«Non vuoi parlare con nessuno? Che diavolo stai facendo Sam?» urlò dall'altro capo del telefono Holly.
«Holly? Adesso tu e mia madre fate dei pigiama party senza di me?» tracannò un'altra bottiglia.
«Sai che Smith mi sta col fiato sul collo? Mi chiede ogni giorno che fine ha fatto il tuo articolo e quale decisione hai preso. Mancano pochi giorni all'uscita della nuova rivista!»
«Ha detto che se perde me è una fortuna.»
«Che cosa vuoi dire? Non vuoi scrivere..»
«Sto scrivendo! Sto scrivendo! Voglio solo essere lasciata in pace!» urlò innervosita, chiudendo la chiamata.
Spense il telefono gettandolo per terra. Prese due bottiglie di birra e si spostò sulla poltrona. Si portò la bottiglia alla bocca ripensando al rifiuto di Dylan. Si era spinta oltre, aveva trovato il coraggio di accantonare il lavoro, le sue intenzioni e stava per fare un passo importante, quando quello stupido era rimasto immobile e l'aveva respinta. Quanto poteva essere sembrata stupida ai suoi occhi? Adesso era dell'idea che l'attrazione che provava verso lui era solo a senso unico e che nel suo cuore non c'era un posto per lei, nemmeno un angolino.
Era occupato sicuramente da qualcun altro, ma da chi? Da quella Potty? pensò, e perché non era lì?
«Va al diavolo.» disse mentre aprì un'altra bottiglia.
Stava bevendo veramente tanto e sentì la testa pulsare, quando il vomito iniziò a farsi sentire. Corse svelta in bagno e provò a liberarsi dell'alcool che ormai aveva preso il controllo del suo corpo. Perché ogni volta che s'innamorava di qualcuno andava a finire abbracciata ad un water? Si asciugò le labbra e arrancando si avvicinò allo specchio. Era difficile riconoscersi in quella figura mal concia che si rifletteva. Il viso era bianchissimo, gli occhi rossi e lacrimanti e con le occhiaie sembrava un panda. Forse era meglio uscire e prendere aria, si era chiusa dentro per quasi tutta la giornata ripensando alla brutta figura che aveva fatto. Barcollando si diresse verso l'ingresso, indossò il giubbotto ed uscì. La strada appariva elastica tantoché fu costretta a sgranare gli occhi per non andare a sbattere da nessuna parte. Lei si sentiva uno schifo ed era sicura del fatto che quello stupido adesso si trovasse a casa a mangiare e ridere come se non fosse successo nulla.

Da quanto stava dentro l'officina a trafficare su quella macchina? Aveva perso il conto delle ore, non era riuscito nemmeno a rientrare e mangiare qualcosa, al solo pensiero gli veniva la nausea. Sperava che lavorando sarebbe riuscito a staccare la sua mente dai pensieri che l'affollavano ultimamente, ma sembrava non funzionare. Prendeva un cacciavite e pensava a Samantha, beveva un goccio d'acqua e pensava a Samantha, si fermava un attimo e pensava a Samantha, tutto ciò che faceva non serviva a non pensarla. Ad un tratto sentì il cellulare squillare così lo raggiunse.
«Dylan! C'è un grosso problema!» rispose allarmata Jenna.
«E' successo qualcosa a Brian?» trasalì.
«No, lui è in casa» lo tranquillizzò.
«Allora cosa succede?»
«Credo che dovresti venire qui velocemente. Ecco.. Aaron..»
«Aaron cosa?» si accigliò.
«Sta importunando Samantha, l'ho implorata a non dargli corda, ma non mi ascolta!»
Dylan chiuse la chiamata. Velocemente tolse la tuta e chiuse l'officina per raggiungere casa e salire sul pick-up, così sarebbe arrivato in fretta. Agitato mise in moto, ma il motore era troppo freddo e non riuscì a partire. Non poteva aspettare ulteriormente, così decise di correre e raggiungere il locale. Quando arrivò, aprì la porta ed entrò. Si piegò su se stesso ansimante e prendendo aria vide Aaron che parlava con Samantha. Non sembrava avesse cattive intenzioni, stavano semplicemente parlando, e lei rideva a ogni cosa che quello zotico le diceva.
«E' completamente ubriaca.» gli riferì Jenna, quando si accorse del suo sguardo di rimprovero. «Ehi, non guardarmi così, ha solo bevuto un bicchiere di birra, penso che fosse già brilla.»
«Va bene, adesso me ne occupo io.»
Si avvicinò al bancone per sedersi vicino a loro e osservarli, sperando che tutto si sarebbe risolto pacificamente.
«Credo di aver bevuto troppo.» sentì dire da Samantha.
Aaron sembrava averle chiesto il perché, allora si protese per ascoltare la risposta, ma tra la musica e la confusione che faceva la clientela non riuscì a sentirla. Comunque sia vide Samantha fare un'altra risata isterica e poggiare la sua mano sul braccio di Aaron. Sgranò gli occhi e sentì la rabbia passargli per tutto il corpo. Che cosa stava facendo? Le aveva detto si stare lontano da lui eppure sembrava che stesse flirtando. Senz'ombra di dubbio non era sua intenzione, ciò nonostante si sentì pervadere da un senso di collera e gelosia.
«E' proprio uno stupido!» singhiozzò. «Continua a cacciarmi via! Mi ha rifiutata, capisci? Mi ha rifiutata!» urlò ad Aaron.
Samantha decise di avvicinarsi a lui, quando fu fermata da un braccio.
«Dove vai piccolina?» le domandò con un sorriso ebbro. «Chi è stato questo stronzo che ti ha rifiutata? Se stai con me, non verrai più cacciata via.» si avvicinò al suo viso e l'attirò a sé toccandole il sedere.
Samantha lo allontanò violentemente costringendolo a sedersi nuovamente. «Non parlarmi in quel modo!» disse sgranando gli occhi per mettere a fuoco la sua figura. «E non ti avvicinare più a me!»
Aaron si alzò e con le mani le prese il viso. «Non ti piace più la mia compagnia?» la vide mentre cercava di liberarsi, ma lui rinforzò la presa. «Perché non ci andiamo a divertire?» sorrise e la trascinò dal braccio.
«Lasciami!» si dimenò, cadendo per terra.
Aaron le prese la mano e la trascinò ridendo fragorosamente. «Mi piacciono le tipe come te.» riuscì a dire prima di essere spinto con forza, cadendo su un tavolo.
La clientela fece un rumoroso boato, alcuni uscirono di corsa altri invece rimasero per osservare ed incitare la rissa.
Dylan vide Samantha tremante per lo spavento. L'aiutò ad alzarsi e le asciugò le lacrime.
«Adesso andiamo a casa.» le sistemò il giubbotto e le prese la mano pronti ad uscire.
Aaron allora si buttò addosso a Dylan e caddero sopra un tavolo dove c'erano delle bottiglie di birra e dei bicchieri di vetro. Provò ad alzarsi e si accorse di aver una mano sanguinante, si voltò e vide Aaron sorridente che cercava di mettersi in piedi.
«Quindi sei stato tu a rifiutarla?» fece una risata.
Dylan lanciò uno sguardo a Samantha che osservava la scena a bocca aperta.
«E tu credevi di portartela a letto? Non credo le piacciano le persone inutili.» affermò ansimante.
Aaron, poggiandosi su una sedia riuscì a mettersi in piedi. «Persona inutile? Allora non dovrebbe stare nemmeno con te, non ricordi quanto ti consideravi tale?»
Fece mezzo sorriso. «Forse un tempo lo ero, sono cambiato, ma tu sei rimasto sempre lo stesso.»
«Cambiato? Ovvio, adesso sei inutile e uno sfigato.» si rivolse a Samantha. «Ehi bocconcino, se gli stai ancora vicino sarai influenzata dalla sua sfiga. Sai perché nessuno parla con lui? Hanno paura che la sua sfortuna si ripercuota su di loro. Vuoi finire pure tu nella sua lista? Vediamo..» iniziò a contare con le dita. «Prima la sua ragazza, poi suo padre, poi il suo migliore amico e adesso? Adesso a chi tocca morire?»
Dylan infuriato si gettò su di lui e iniziò a prenderlo a pugni.
«Chiudi quella fogna!» urlò.
Aaron riuscì a dargli un calcio e liberarsi. Lo prese dai capelli e lo colpì in faccia per poi continuare a pestarlo a forza di calci nello stomaco. «Sai quanto ho desiderato questo momento?»
Brian, sentendo i rumori, scese di corsa le scale e di fronte a quella scena cercò di andare incontro a Dylan.
«Dylan! Dylan! Ti salvo io!» urlò.
Jenna si accorse della sua presenza e lo prese in braccio per portarlo in casa. Samantha allora si riprese e saltò sopra Aaron tentando di fermarlo, ma fu spazzata via come un moscerino.
Dylan la vide cadere per terra e cercò di liberarsi dai calci di Aaron. Lo afferrò da un piede costringendolo a sbattere sul bancone per poi cadere per terra. Si tenne stretto lo stomaco e cercò di alzarsi. Aaron, continuò a ridere quando sentì la sua schiena colpire il bancone. L'alcool serviva anche a non far sentire il dolore.
«Walker!» urlò mentre lo vedeva mettersi in piedi. «Con l'altra non ci sono riuscito, ma almeno lei fammela provare prima che tu la uccida!» rise.
Dylan, ormai fuori di sé, a quelle parole riuscì a mettersi in piedi per tirargli un calcio in bocca. Lo vide perdere subito i sensi, e lui cadde nuovamente a terra. Jenna, dopo aver tranquillizzato Brian e costretto a rimanere in camera, corse in suo aiuto.
«Forse era meglio non chiamarti.» affermò preoccupata.
Dylan fece mezzo sorriso. «Perché? Ho dato un po' di spettacolo.» diede uno sguardo alla clientela che continuava ad osservarlo impaurita. Samantha si avvicinò a loro e aiutò Jenna a tenere il peso di Dylan, così iniziarono ad incamminarsi verso l'uscita quando Aaron riprese i sensi.
«Walker!» urlò.
Senza pensarci due volte, Samantha prese una bottiglia di birra vicina e si avvicinò barcollando a lui dandogli un colpo in testa.
«Fottiti!» gli gridò mentre lui perse nuovamente i sensi.
Usciti dal locale, Dylan aspettò l'arrivo di Samantha seduto su un marciapiede vicino alla farmacia.
«Mi hanno dato tutto questo!» sorrise facendo cadere per terra ciò che aveva appena comprato. Gli puntò un dito contro e fece dei piccoli cerchi. «Ho pagato solo la metà. Penso che gli abbia fatto pena.» affermò compiaciuta. Si fece cadere per terra e si sfregò le mani sul viso.
Dylan continuava a osservarla. «Dopo aver vomitato per tre volte, non sei ancora riuscita a smaltire la sbornia? Quanto cavolo hai bevuto?»
Aprì il disinfettante e lo versò sulla sua mano decisa.
«Puoi andarci piano? Fa male!»
«Mi sto solo vendicando.» fece un singhiozzo.
La fasciò e gli mise qualche cerotto in viso.
«Fammi vedere lo stomaco.»
«Cosa?» si accigliò.
«Dobbiamo passare sui lividi questa pomata.» la prese.
«La metterò a casa.» provò ad alzarsi, ma un dolore allo stomaco lo costrinse a sedersi.
«Fammi vedere.» cercò di alzargli il maglione.
«Ehi ehi! Ti ho detto che ci penserò io!» lo abbassò.
Samantha lo guardò con occhi socchiusi. «Togli queste mani!» gli urlò ed alzò il maglione. Spalmò per bene la pomata su tutto il livido e poi premette per fargli male.
«Ahia! Ma che ti prende?»
«Ti ho già detto che mi sto vendicando.» si pulì le mani e mise tutto ciò che aveva comprato dentro il sacco.
Durante la strada per casa Samantha camminava barcollando e cantando qualche canzone faceva volteggiare in aria il sacchetto delle medicine. Non c'era nessuno e se qualcuno li avesse visti, li avrebbe presi per due pazzi. Lui continuava a camminare curvo tenendosi la pancia, lei invece con i volteggi del sacchetto a volte riusciva a darselo in faccia, quando finalmente arrivarono.
«Ho le chiavi, sali in macchina che ti accompagno a casa.» l'avvertì quando la vide salire gli scalini.
Alzò gli occhi al cielo e la raggiunse. «Ti ho detto che ti accompagno a casa.»
«Voglio entrare.» lo ignorò. «Apri questa porta.»
«Non è casa tua.»
«Apriti sesamo!» urlò alla porta.
Dylan rimase impietrito e cercò di trattenere una risata. «Va bene.» aprì. «Fai quello che devi fare e poi ti accompagno.» si gettò sul divano sperando che il dolore passasse al più presto poi prese il cellulare e chiamò Jenna.
«Dylan! Va tutto bene? Vuoi che passo da te con Brian?»
«No, meglio di no.»
«Perché?»
«Solo che un completo disastro preferisce casa mia a quella sua. Brian sta bene?»
«Sì, ha voluto sapere se a vincere sei stato tu e adesso sta dormendo.»
«Gli hai detto che Spiderman non perde mai?»
«Ovvio.» sorrise.
«Scusami per il locale.» affermò amareggiato.
«Non preoccuparti, i ragazzi hanno già sistemato tutto.»
«E Aaron?» chiese.
«E' venuto uno dei fratelli a prenderselo e mi ha detto di avvisarti che non finirà così.»
«Lo immaginavo.»
«Se devo essere sincera, ho un po' di paura.» confessò.
«L'ho steso una volta e lo farò di nuovo se ci sarà bisogno.» la tranquillizzò mentre vide Samantha uscire dalla camera da letto. Indossava una sua camicia a maniche lunghe e dei pantaloni di chissà quale pigiama.
«Ma che cavolo..» pronunciò sbalordito.
«Cosa è successo?» chiese Jenna.
«Niente è solo che quella ragazza è un problema vivente! Devo andare Jenna, ci vediamo domani.» agganciò alzandosi lentamente dal divano
Samantha si avvicinò a lui con passo felpato e con occhi socchiusi.
«Perché ti sei conciata così?» chiese mentre continuava a fissarla.
Doveva ammettere che era molto sensuale eppure c'era qualcosa di strano.
Stava per dirgli qualcosa quando iniziò a singhiozzare ripetutamente allora si precipitò verso il frigorifero e le porse una bottiglia d'acqua.
«Adesso va bene?»
Samantha sospirò guardando i cerotti e la mano fasciata. Era stato picchiato per colpa sua e questo la faceva stare peggio di come si sentiva.
«Oggi ho capito che sei un brav uomo.» gli porse la bottiglia.
Aprì il frigorifero e la posò. «Ho picchiato una persona Samantha.» si voltò verso di lei.
«No, mi hai salvata.» si alzò in punta di piedi, gli prese il viso tra le mani e gli strinse le guance.
«Che stai facendo?» provò a chiedere, ma non riuscì a scandire le parole per la troppa forza con cui le stava premendo.
Lo guardò con occhi furbi e si avvicinò più al suo viso per stampargli un bacio sulle labbra.
Dylan rimase per un attimo immobile, quando a quel contatto sentì un brivido e la strinse tra le braccia attirandola di più a sé, ricambiando il suo bacio. Le sue labbra erano calde e morbide e i battiti del suo cuore aumentarono sentendo il corpo contro il suo. L'abbracciò più forte e la baciò con passione, quando all'improvviso sentì di allontanarla. Nella mente, che per un attimo sembrò vuota, iniziò a suonare il campanello di allarme, come per avvisare che ciò che stava facendo era sbagliato, quindi l'afferrò dalla vita costringendola a staccarsi.
«Ecco..» si portò la mano sulle labbra. «Q-questo è successo perché sei ubriaca!» gridò agitato.
Samantha sorrise compiaciuta e gli toccò una guancia con il dito. «Tu un giorno sarai mio!» rise per poi correre in bagno.
Preoccupato la raggiunse e la trovò china sul water a vomitare. Le prese l'elastico che aveva sul polso e le legò i capelli.
«Hai davvero bevuto così tanto per colpa mia?» domandò mentre le dava delle pacche sulla schiena.
Una volta terminato, l'aiutò a sciacquarsi il viso e poi la condusse in camera da letto.
«Credo che sia meglio che per stasera tu rimanga qui.» la vide sedersi sul letto.
«Penso che questo sia voluto dal destino.» farfugliò.
«Che cosa?»
«Il nostro incontro.»
La guardò perplesso.
«No credi nel destino?» si alzò.
«No.»
«Nemmeno nella volontà di Gesù?»
«Credo che tu sia ormai andata.» la prese dalle spalle e la incalzò a coricarsi.
«Zitto e rispondimi!» biascicò.
«Se sto zitto come faccio a rispondere?» l'aiutò a sdraiarsi.
«Bastardo.» disse con un fil di voce mentre si tirava le coperte.
«Ti ho sentita.» vide il suo sguardo che aspettava una risposta. «Ho smesso di credere al destino e a Gesù molto tempo fa.»
«Perché?»
«La pianti di blaterare?»
Guardò il soffitto. «Tutti gli uomini per vivere hanno bisogno di credere in qualcosa. Nell'amore, in Dio, nel destino.» sorrise e si voltò di nuovo verso lui, il quale stava in piedi ad osservarla. Allungò la mano e gli diede una sberla nello stomaco.
«Ahia!»
«Un uomo forte e grosso come te non crede a nulla?» sbatté le palpebre lentamente. «Prova a credere più in te stesso allora, forse così potrai superare le tue paure.» disse prima di cadere in un sonno profondo.
Dylan fece un sorriso ed uscì dalla stanza. Era da tanto tempo che non si fidava più di sé. Come fidarsi e credere in una persona che non era riuscita a salvare la vita delle persone a cui voleva bene? Scosse la testa. Credere in se stesso? Quella ragazza lo stava facendo impazzire.

Legati dal passatoWhere stories live. Discover now