La leggenda delle Noci Crononaute

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Tutto ciò che era contrassegnato dal suo nome, dalla sua presenza, era sempre parso colorato, divertente, forse anche sciocco; ma sincero.
Tutto.
Eccetto quella fredda pietra portante il nome di Frederick Gideon Weasley.
«Mamma è venuta a trovarti, vero?» Notò il rosso, alludendo ai fiori freschi posti davanti alla lapide, sistemati in modo da non coprire l'incisione che poi era il motto dei gemelli Weasley.
«Sarà stata sicuramente lei, George è troppo preso ad autocommiserarsi per fare anche solo un incantesimo di protezione sui fiori che ti porta.» Aggiunse, storcendo la bocca in una smorfia che voleva nascondere il groppo che avvertiva alla gola.
Sospirò, prendendo coraggio — perché, sì: ne aveva bisogno per fronteggiare il gran senso di colpa che sentiva da settimane; dai primi di maggio, per l'esattezza.
«Fred, aiutalo. Aiutalo perché noi non sappiamo come fare.»
Una ventata d'aria primaverile scompigliò i capelli arruffati del giovane Weasley, facendo oscillare gli steli dei fiori che stava guardando. Gli occhi blu rivolsero la loro attenzione a un piccolo fiore inclinato verso il basso. «E perdonami se puoi. È stata colpa mia.»
Detto ciò, Percy lanciò un incantesimo di protezione sui fiori e se ne andò, senza riuscire più a voltarsi indietro, sperando che il suo incantesimo avesse salvato almeno quel piccolo fiore.

*

Le cose avevano preso una piega strana: così, per caso, due ragazzini perfettamente identici erano piombati fuori dal nulla dicendogli che esisteva un modo per riportare indietro Fred. Al che George si era subito mostrato interessato, ovviamente, se non impaziente di conoscere ciò che avevano da rivelargli quei due piccoli e strani bambini; ora però, guardandoli a braccia conserte mentre si infilavano dei vecchi vestiti riadattati con la magia, qualche domanda iniziava a farsi spazio nella sua mente.
Chi erano davvero?
Come lo conoscevano?
E come faceva a esistere la possibilità di riportare indietro una persona mor— Be', insomma, Fred. Come poteva esistere davvero un modo?
John – o forse era Eric? – allungò le mani sui capelli del gemello per sistemarglieli, gesto prontamente ricambiato dall'altro. Non che ci fosse molto da fare, i capelli dei due parevano ancor più disastrosi dopo tale operazione, ma appunto quel qualcosa di strano che c'era in loro rendeva la cosa anche gradevole.
Erano carini.
«Grazie per averci dato degli abiti puliti.» Proruppe a un certo punto uno dei due, venendo prontamente affiancato dall'altro. «E per le Cioccorane! Erano davvero buone.»
Un angolo della bocca del rosso di sollevò in un sorriso quasi fraterno. «Non c'è di che, anche se sporchi di terra o meno il vostro aspetto rimane sempre quello di due piccole pesti.»
«Così ci lusinghi, Weasley!» Esclamarono in coro i bambini.
«Ah, sta tranquillo! Lo sappiamo che vuoi sapere come riavere indietro Fred.» Aggiunse uno.
«Quindi tieniti pronto e apri le orecchie!» Esordì l'altro.
«Semmai l'orecchio, John!»
George rise, sedendosi sul suo letto e posando lo sguardo vispo e impazientemente curioso sui due. «Il mio orecchio, il mio foro romano ed io siamo pronti ad ascoltarvi!»
Eric, il bambino che indossava una vecchia maglia che poi era stata una delle preferite di Fred, undici anni prima, con un cenno della mano insonorizzò la stanza, prendendo la parola. Un sorrisino saccente ad adornare i lineamenti del viso.
«Le Noci Crononaute!»
«Le Noci Crono–Cosa?!»
«Dacci tempo, Weasley. Eric, lascia parlare me. Dunque, non credo che ad Hogwarts vi abbiamo mai accennato a questi oggetti prodigiosi, ma fortuna vuole che la leggenda non sia sfuggita a noi due!»
«Esattamente!» Annuì Eric. «Vedi, poco prima dell'anno mille e della fondazione di Hogwarts, immagino, la Gran Bretagna venne invasa dai Vichinghi!»
«Ottuse popolazioni barbare Babbane provenienti dalla Scandinavia, ma non è questo che importa. A quest'invasione conseguì la nascita del Regno di Jorvik e quello di Dublino. A noi in particolare interessa quello di Dublino, localizzato in Irlanda e dominato dai norvegesi. In sostanza fu un periodaccio, tanto che anche certi maghi presto si stufarono.»
«E per fortuna! Altrimenti queste noci non esisterebbero!»
George boccheggiò cercando di assimilare quelle parole. A Hogwarts c'era il corso di Babbanologia, vero, ma figurarsi se lui l'aveva mai frequentato! Chissà se avrebbe potuto apprendere questo pezzo di storia lì. Forse sì, forse no, d'altronde a stento prendeva sul serio Storia della Magia!
«Dal tuo sguardo deduco che non sai niente sulla storia.» Osservò divertito John. «Diciamo che a quei tempi era tutto un po' un macello! Macello a cui, strano a dirsi, dobbiamo attribuire il merito della nostra presenza qui.»
«D'accordo, d'accordo John, passiamo al sodo!» Proruppe Eric, tirando fuori dalla manica del maglione una bacchetta.
«Fabulator
L'agitò lentamente tracciando un grande cerchio luminoso sollevato a mezz'aria, che prese a vorticare velocissimo su se stesso tanto da sembrare una sfera all'interno della quale George vide apparire la figura di un ragazzino dai tratti angelici ma dallo sguardo tagliente d'intelligenza.
Sembrava un folletto con quei corti capelli rosso scuro scombinati, e aveva gli occhi verdi come smeraldi.
Teneva in mano una boccetta contenente due dita d'un liquido color celeste, o meglio la stringeva, come se fosse stata un tesoro.
John lo indicò. «Lui è il creatore della Pozione Crononauta: Ailleann. Irlandese, figlio di un mago druido e di una giovane strega celtica. È incredibile pensare che aveva soltanto quattordici anni quando... be', quando è successo. Era un allievo di Salazar Serpeverde, sai?»
«Sul serio?» George sbarrò gli occhi, osservando meglio la figura di Ailleann; la Casata dei Serpeverde godeva di una pessima fama, vero, specie dopo la Seconda Guerra Magica appena conclusa. Ma spesso il professor Curthbert Ruf lo diceva durante le lezioni: prima che si lasciasse soggiogare dalle sue idee folli, Salazar era un grande mago; magnanimo, ambizioso, brillante e audace.
John annuì energicamente. «Beh, è in quegli anni che nacque Hogwarts, Ailleann ebbe il piacere di frequentarla per qualche anno, lui e una sua presunta sorella che però venne prediletta da Godric Grifondoro. Purtroppo con la venuta della guerra, dato che i maghi scandinavi affiancarono i Babbani, entrambi lasciarono la scuola. Dopo il loro ritorno in Irlanda, nacquero i due regni; Jorvik in Inghilterra, Dublino in Irlanda.»
«La leggenda narra che Ailleann creò una Pozione perché potesse conferirgli l'abilità di spostarsi nel tempo, con l'obiettivo di salvare il Regno Unito dagli scandinavi. Purtroppo le forze magiche nemiche tenevano d'occhio gli studi dei giocavi maghi inglesi o gaelici che fossero, quindi riuscì a creare in segreto una minima dose di pozione.» Raccontò Eric; era surreale sentire la voce di un bambino pronunciare quelle parole, forse più del sentirli parlare in modo così sciolto e quasi maturo, oserei dire, di quel genere di cose.
Per qualche strano motivo George per un secondo vide nello sguardo acuto del ragazzino irlandese un'emozione familiare.
Ma quale?
Prima che potesse porsi la domanda – unita a quella su come potessero due bambini praticare la magia in tal modo – lo scenario cambiò, la figura di Ailleann sparì e comparve un cielo stellato.
Conosceva l'incantesimo "Fabulator", George; non bene, certo, non l'aveva mai utilizzato, ma l'aveva visto usare a sua madre quando voleva raccontare una favola a Ron o a Ginny, quando erano piccoli. Era come guardare quelle strane scatole animate che ai Babbani – e a suo padre – piacevano tanto, solo che appunto la sua essenza magica rendeva la cosa più... reale, oserei dire.
Ricordava che quando Molly l'usava, così come allora, l'atmosfera nella stanza si faceva soffusa, come se ci si trovasse in una realtà diversa dove lucciole blu svolazzavano intorno alla sfera luminosa in cui, volendo, si poteva confinare la storia.
«Decise di agire una notte di marzo, salì sulla torre più alta del castello, ma—»
«Ma venne scoperto da un mago vichingo.» Azzardò George. «Giusto?»
«Come lo sai?»
«Beh, è un classico.» Rispose aggrottando la fronte il rosso esibendo un sorriso sghembo come a sottolineare l'ovvietà della cosa. «Ma poi accorse qualcuno in suo aiuto proprio all'ultimo minuto, no?»
«No.» Risposero i gemelli.
–Crucio!– Gridò una voce roca da dentro la sfera, seguita da una più acuta. –Protego!–
«Ailleann riuscì a proteggersi dalla maledizione Cruciatus, ma per pochi istanti.» Mormorò Eric tenendo gli occhi fissi sulla scena, deglutendo a vuoto. «Lui era troppo forte.»
John si intromise nella narrazione, avvertendo l'inquietudine dell'altro bambino. «Gettò l'ampolla di sotto, convinto che, se doveva morire, la sua pozione non poteva finire nelle mani sbagliate.»
L'immagine andò svanendo, venendo sostituita dalla figura di un vecchio intento a cogliere qualcosa da terra.
«Ma-» George aguzzò la vista, osservando meglio i tratti – sfocati – del suo viso; se li immagino maggiormente segnati dall'età e magari ricoperti da una scarmigliata barba bianca. E allora ricordò di averlo già visto una di quelle poche volte in cui si era degnato di aprire il libro di Storia della Magia per studiare.< br / > «Ma quello non è...?»
«Merlino?» John annuì abbozzando un sorriso divertito. «Allora qualche volta li aprivi i libri di scuola!»
«A convenienza.» Ironizzò il rosso, sollevando un angolo della bocca.
«La Pozione Crononauta cadde su terreno fertile da cui crebbe una pianticella. Così, per puro caso, fece da fertilizzante a una pianta le cui noci acquisirono le sue proprietà magiche. Oltraggiato dall'omicidio di un bambino per mano di un mago adulto, Merlino colse la pianta e, si dice, portò il corpo di Ailleann qui.»
Una specie di cerchio, ecco cosa formavano quelle suggestive ed enormi pietre apparse nella sfera; era un luogo, quello, che George non conosceva se non perché alcuni maghi e streghe, i più anziani, lo ritenevano di grande importanza storica.
«Stonehenge.»
«Già, George.» Un lieve agitarsi del suo braccio e l'incanto si spezzò, svanendo dell'aria come una nuvola di fumo. «Luogo costruito nel "Periodo d'Oro del famoso Re Artù"; si dice che Merlino l'abbia fatto portare pezzo per pezzo in Gran Bretagna dall'Irlanda, dove è stato costruito dai Giganti, sul Monte Killaraus. Questa è la leggenda, almeno.»
«Quindi, se ho ben capito, sarebbe questo il luogo dove andare a cercare.» Azzardò George, passandosi una mano tra i capelli.
«Lui riposa lì, il suo spirito intendo. Per cui direi proprio di sì.» Rispose Eric.
Non era granché come indizio, Stonehenge, e pareva strano pensare che bastasse raggiungere quel luogo per trovare le Noci Crononaute. E George lo sapeva bene: nel mondo dei maghi niente era mai facile, trattandosi di oggetti magici così, poi!
Ma non aveva nulla da perdere, poco ma sicuro; gli occhi verdi dei gemelli erano troppo sinceri perché potessero mentire, di questo poteva starne certo pur non essendo un Legilimago.
Quindi sì: si fidava sicuramente, a priori. Perché, diamine, era per Fred che era lì!
Ne valeva la pena, no?
John rivolse un'occhiata al gemello e avanzò di qualche passo, portando la mano su quella del mago più grande.
Era morbida e calda, esattamente come ci si aspetterebbe alo sfiorare la pelle di un bambino; e gli occhi smeraldini, all'incontrare i suoi – più scuri – parvero folgorarlo tanto furono schietti.
«George, lo so che non ti tirerai indietro, ma Merlino era tutto fuorché uno sprovveduto. Non sarà una scampagnata, questa.» Disse il castano. «Non è impossibile, ma non è neanche facile. Basta crederci!»
«Quindi. . .» Eric dondolò sui talloni affondando le mani nelle tasche dei pantaloni con lo sguardo tentennante puntato sulla punta delle sue scarpe, come se avesse qualche pensiero. Alzò il viso, proseguendo senza esitazione. «Quindi ti chiediamo solo una cosa. Tu sei disposto a crederci? Per te ne vale la pena?»
Il rosso allungò le mani a scompigliare le chiome color cioccolato dei due, annuendo.
Per Fred ne sarebbe sempre valsa la pena.
«Mi pare ovvio!» Si alzò dal letto prendendo la bacchetta e racimolando un paio di cose dentro un vecchio zaino incantato: qualche cambio, una tenda e così via. Non molto, solo il minimo indispensabile.
Tempo niente e stava già uscendo dalla finestra con il suo manico di scopa in mano, davanti agli sguardi carichi d'incredulità dei gemelli i quali si guardarono battendo le palpebre, perplessi.
«Ma— Weasley, che cavolo fai?»
«Non sai neanche dove sia Stonehenge! Mi ci gioco la bacchetta.»
Il rosso si bloccò con un piede sul davanzale e fece lentamente dietro front grattandosi la nuca. «Potrebbe essere così, d'accordo.» Lasciò lo zaino sul letto, chiedendo con la più assoluta naturalezza: «Voi però lo sapete dov'è, vero?»
«Certo che non mentono le voci!» Sbottò John, ridendo divertito.
«I gemelli Weasley sono maghi capaci quanto scapestrati, geni del gioco che abbandonarono la scuola in sella a delle scope e con al seguito dei fuochi d'artificio a scrivere i loro nomi nella leggenda.» Concluse Eric, recitando quelle parole in tono quasi solenne.
«Qualcuno qui studia la storia, eh?» Sorrise fiero e fintamente commosso il rosso.
Il bambino si strinse nelle spalle. «Questo è ciò che reciteranno i libri di testo tra cinquant'anni.»
«E tu come lo sai?» Domandò sinceramente curioso George. John si sbatté una mano in fronte, come se il fratello avesse appena svelato a George un suo segreto imbarazzante.
«Precognizione.»
«Sarebbe tipo quello che dovrebbe avere la Cooman, insomma.»
«Lascia stare, George, e pensa piuttosto a prendere qualche galeone con te.» Si intromise John. «Noi penseremo a raccogliere quante più informazioni possibili.»
Il rosso aggrottò la fronte fermandosi a guardarlo. «E come avreste intenzione di fare?»

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