Elara White era pronta a ricominciare la sua vita da zero, a costo di fare le carte false, letteralmente.
Si ritrovava quindi in una nuova città, con un nuovo nome e un nuovo taglio di capelli, pronta per iniziare il suo nuovo lavoro.
C'era però u...
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Presi un sorso d'acqua e chiusi gli occhi. Mi sembrava di trovarmi nel pieno del Sahara, sola, disidratata, con la lingua secca e le labbra screpolate dal sole cocente. Ogni goccia che scendeva giù per la gola era come un miracolo. Non era solo acqua. Era sopravvivenza. Il mio corpo ne aveva bisogno quanto l'aria. Sentii i muscoli sciogliersi appena, la mente vacillare per un attimo come se fosse rimasta in apnea troppo a lungo. Era come bere vita, come se ogni singola particella entrata in circolo tentasse disperatamente di tenermi in piedi ancora per un altro minuto.
Volevo andarmene. Non avrei resistito un secondo di più. Ero un vetro troppo sottile in mezzo a mani troppo pesanti.
Mi guardai intorno, frenetica, cercando tra i volti sfocati e i sorrisi forzati. Adam. Dove diavolo era? Ogni volta che cercavo di incrociarlo, la folla sembrava inghiottirlo. Sparito. Come se non fosse mai esistito.
"Stai cercando la tua prossima vittima?"
La voce mi colpì come un pugno. Astiosa. Derisoria. Tagliente e satura di veleno. Era come se ogni parola fosse stata affilata prima di essere lanciata. Mi ferì senza nemmeno sfiorarmi.
Il cuore cominciò a battermi forte, come se stesse cercando di fuggire dal petto. Un brivido mi percorse la schiena, e la pelle si accese di pelle d'oca. Dentro di me si aprì un abisso: malinconia, mancanza, nostalgia e un dolore che non avevo mai davvero imparato a gestire. La sua voce mi aveva colpita in pieno. Ancora. Ancora.
Mi voltai. E avrei voluto non farlo.
Perché se la sua voce mi aveva fatto vacillare, i suoi occhi furono molto peggio.
Mi fissavano. Fermi, impietosi. C'era un'emozione in quegli occhi che non riuscii a leggere subito. Qualcosa di teso, instabile. Un guizzo tra rabbia e qualcosa che forse era dolore. Poi cambiò. In un battito di ciglia, divenne freddo. Gelido. Uno sguardo così privo di calore che sembrò toccarmi fisicamente, come se un'ondata di aria ghiacciata mi fosse scivolata addosso.
"Silas..." sussurrai. La sua sola presenza mi aveva frantumata in mille pezzi. Era passato tanto tempo. Eppure il tempo non aveva attenuato nulla. Aveva solo amplificato ogni cosa. Il sentimento che provavo per lui era diventato più grande, più cupo, più profondo. Più vivo. Più doloroso.
"Silas, non possiamo parlarne... mi dispiace" dissi. Avrei voluto dirlo con fermezza. Ma la mia voce uscì sottile, appena un sussurro che sembrava dissolversi nell'aria, eppure lui lo colse perfettamente.
"Ti dispiace, eh?" La sua voce era velenosa, piena di un rancore che sembrava marcire dentro da troppo tempo. "A me non sembra proprio ti dispiaccia."
Il suo sguardo scivolò lentamente su di me. Non era come un tempo. Non c'era calore, non c'era desiderio, non c'era amore. C'era solo disprezzo. Mi guardava come se fossi qualcosa di contaminato, una verità scomoda da dimenticare. E in quel momento mi sentii nuda. Spogliata. Fredda.