. 39 . Lupi e agnelli, falchi e colombe

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Si inoltrò nel giardino, respirando l’aria gelida di dicembre; una nuvola grigia, arcigna, come la smorfia di una strega, le passò sulla testa, proiettando un’ombra sulla ghiaia biancastra; sui rami rinsecchiti e sbiancati dall’inverno, il freddo aveva sapientemente costruito diademi scintillanti di piccoli ghiaccioli purissimi e aghetti di brina. Gli alti arbusti di viburno* avevano già prodotto i loro bei fiori bianchi, riuniti in mazzi molto profumati, e, alla base di essi, piccoli cespugli fitti e compatti di pernezia° rallegravano il giardino con le loro bacche rosso ciliegia, che risaltavano tra rami eretti e foglie lanceolate, lucide e verde intenso che sarebbero perdurate per tutto l’inverno.
In città non si parlava d'altro che del ritorno di Eìos.
Alvita era venuta a conoscenza del suo ritorno già dal giorno dopo, quando aveva sentito alcune comari che ne sparlavano al mercato e il panettiere, tra il profumo del pane e dei biscotti appena sfornati, aveva aggiunto che le accuse a suo carico sarebbero presto cadute, grazie a certe prove che il suo avvocato aveva prodotto. Il discorso era poi scivolato sul nome che Eìos aveva ottenuto immeritatamente, tanto che Miran e sua madre avevano già presentato istanza di disconoscimento per indegnità e sul matrimonio con Ariela, che sarebbe stato invalidato, fino a che, intravista Alvita, il chiacchiericcio era scemato fino a convergere su tutt’altre questioni.
La cameriera rientrata, aveva riferito le voci, timidamente come se temesse di farle del male, giacché aveva intuito che il ritorno di Eìos avrebbe scombussolato il già fragile equilibrio che la sua padrona, faticosamente aveva creato.
Ariela se ne era stata zitta, zitta come una bimba in punizione, mentre dentro la testa, nei polmoni e nelle vene, un serpente cominciava a strisciare velenoso e lento, infiacchendola.
Era certa, Ariela, che, risolte le sue questioni legali, sarebbe tornato a vantare i suoi crediti: il posto in quella casa, come padrone; nella società, come uomo libero e innocente, e probabilmente anche nella sua vita come marito.
Ciò di cui non era affatto certa, erano i propri sentimenti e le reazioni che il suo ritorno le avrebbero procurato.
L’amava ancora, sarebbe stato inutile negarlo a sé stessa e per un tempo infinito aveva desiderato che tornasse a lei, pentito d’averla lasciata, quando sarebbe bastato stringerla di più. Ma col tempo, la parte razionale l’aveva abituata a credere che quel ritorno non ci sarebbe stato, che Eìos fosse nato per essere libero e finanche che tutte quelle angherie subite fossero la soluzione definitiva che aveva adottato la sorte per togliergli le catene.
Continuava, però, ad immaginarlo affacciarsi alla grata del cancello, i capelli scarmigliati sulla fronte, gli occhi verdi e splendenti come foglie in primavera, e quell’espressione spavalda da padrone che amava e detestava allo stesso tempo.
Non si stupì, dunque, quando nel tardo pomeriggio, Alvita le annunciò una sua visita.
Rimase seduta sulla poltrona accanto al camino, le mani tremolanti a fingere di ricamare e una voragine nel petto che si apriva e chiudeva ad ogni respiro.
Eìos entrò in punta di piedi, come un elegante felino che punta la preda, senza produrre alcun rumore.
Era più bello dell’ultima volta, anche se l’espressione era timida e quasi impacciata; la fronte era aggrottata, ma lo sguardo, attento e deciso, corse immediatamente a cercare gli occhi di lei.
Ariela rimase intrappolata in quello sguardo, intenso e quasi sfacciato, ma cerò di mascherare il subbuglio, che crebbe ancora più, quando egli spostò il telaio sul quale stava ricamando e dispose uno sgabello davanti alle ginocchia di lei. Vi si sedette, le gambe divaricate per arrivarle più vicino e il viso alla stessa altezza di quello di Ariela.
- Come stai? – le chiese, sperando che i convenevoli alleggerissero la tensione palpabile.
- Bene … - rispose lei con, forse, la stessa speranza.
Eìos si avvicinò ancora, piegando il busto in avanti e poggiando i gomiti sulle ginocchia.
La distanza tra loro diminuiva ad ogni respiro, tanto che Ariela ebbe paura di quella avanzata e si tirò indietro, facendo aderire la schiena alla poltrona.
- Sì. – constatò, seguendo i lineamenti del viso, la curva del collo che spariva sotto lo scialle blu che le copriva le spalle.
I suoi occhi erano leggermente incavati, come se non avesse dormito, la pelle diafana, come un velo di spuma sotto la quale le piccole vene bluastre mostravano il loro percorso. Le guance le si arrossarono per quell’esame attento, per la vicinanza e per il tentativo di Eìos di guardarle attraverso, così raccolse il poco coraggio che aveva e chiese: - Perché sei qui? –
- Sono tornato. – replicò velocemente, quasi senza darle il tempo di terminare la frase. - Per te. – aggiunse con la voce decisa, ma tremante insieme.
Ariela scosse il capo, una ciocca chiarissima di capelli si liberò dalla treccia d’oro che le intricava la chioma, ma non rispose.
Eìos interpretò quel silenzio come una resa e attaccò.
Si avvicinò alle labbra di lei e le sussurrò: - Perdonami … d’averti lasciata, di averti fatto male; perdonami per averti fatto credere che con te accanto non mi sentivo più me stesso e perdonami per essere stato così presuntuoso da credere di potermi salvare da solo. –
Ariela non si mosse, si prese sulle proprie labbra il calore del respiro di lui, la dolcezza della voce con cui le aveva chiesto perdono; il profumo inebriante della sua pelle e dei capelli.
Ma quando la bocca di lui le sfiorò la pelle accesa degli zigomi, proseguendo lenta, ma inesorabile verso le labbra, Ariela si riscosse, come se quel tocco bruciasse.
Non doveva cedere, non poteva.
Non potevano quattro parole stringere di nuovo il nodo che egli aveva voluto recidere; non bastavano la richiesta del perdono, profumi e respiri a cancellare il senso di impotenza, l'ineguatezza e il dolore provati; nè il ritorno cancellava la fuga.
Le mani le tremarono, le labbra punsero e il ventre si sciolse, invaso da tanta dolcezza, ma la mente si ribellò alla resa, come se corpo e cuore fossero due entità separate e differenti: una debolmente soggiogata dall'amore e l'altra completamente affrancata, lo schiavo liberato dall'asservimento.
- Sei perdonato! - disse con decisione, anche se la voce era flebile e arrochita dal conflitto interiore, - Ma ... questa tua fuga, le tue parole di quella notte e poi la lontananza mi hanno permesso di comprendere ogni cosa, ciò che il desiderio offuscava, ciò che l'amore metteva a tacere. - aggiunse, facendo leva sui braccioli imbottiti della poltrona per sollevarsi e allontanare il viso dall'assedio degli occhi di lui.
- Cosa? - chiese Eìos, sollevandosi a sua volta e portando nuovamente i loro occhi alla stessa altezza.
- Che non siamo fatti l'una per l'altra, che l'amore da solo non basta; che sono necessari una comunione di intenti, un desiderio condiviso per affrontare insieme la vita pacifica o miserabile; affannosa o placida. Io e te ... - terminò con un'ombra nella luce blu dei suoi occhi di colomba, - Io e te siamo giorno e notte, estate e inverno ... inconciliabili! -
- Non esiste luce senza ombra, nè afa senza il gelo: ciò che tu definisci inconciliabile è solo l'ordine naturale delle cose. Io e te siamo ... il pieno che circonda il vuoto ... -
Ariela si allontanò ancora, compì solo qualche passo in un fruscio assordante di vesti e respiri, quando Eìos l'afferò per il polso, attirandola bruscamente a sé, tanto che il corpo leggero di lei gli ricadde addosso, permettendogli involontasriamente di stringerla per le spalle.
- L'ho creduto anch'io ... una volta, ma entrambi ci siamo sbagliati. Se in questi mesi hai potuto fare da solo ... se io sono sopravvissuta alla tua mancanza, allora ci siamo sbagliati entrambi. -
- Menti perché sei risentita e lo comprendo. Non sono qui per tornare in questa casa adesso, nè pretendo di rientrare nella tua vita come se nulla fosse accaduto. Aspetterò che tu sia pronta, che ... -
- Se vuoi tornare in questa casa, io non te lo impedirò. essa ti appartiene, ma della mia vita tu non fai più parte. -
- Siamo ancora marito e moglie, Ariela ... - le sussurrò all'orecchio, stringendo più forte la presa.
- Solo fino a che il matrimonio civile non sarà invalidato ... - replicò. - Quando avverrà, farò richiesta alla Sacra Rota perchè anche quello religioso venga annullato. -
- Stai mentendo! -
Ariela scosse il capo e si divincolò dalla morsa rovente delle sue braccia, dal suo respiro che le lambiva la pelle delle guance e dall'insistenza che le appannava la volontà.
- Dunque, fino ad allora io sarò ancora tuo marito e tu mia moglie! Non indurmi a costringerti! - l'avvertì.
- Non oseresti. - lo ammonì.
- Dimentichi chi sono! - replicò con due occhi affilati e freddi come quelli di un falco predatore, - Da domani vivremo insieme, Ariela, sotto lo stesso tetto; siederemo allo stesso desco e dormiremo nello stesso letto! -
Ariela sbiancò e chiuse gli occhi mancando della forza necessaria a ribattere a quello che era sì, un diritto di Eìos, ma, allo stesso tempo, era un sopruso svilente senza rispetto, né amore.
Si voltò furente verso di lui, le guance in fiamme di rabbia e ribellione, strinse le gonne tra le dita, fino a sbiancarne le nocche e lo guardò, ammonendolo.
- Decidi tu, se vuoi essere schiava o padrona. - aggiunse, prima di lasciare la stanza con un passo pesante ed il respiro affannoso e furente. 

*Il Viburno è una specie che fiorisce in novembre-dicembre.
°La Pernezia è una pianta perenne che fiorisce in estate, ma, grazie alle bacche bianche o rosse che fanno la propria comparsa verso la fine dell’autunno, viene usata nei giardini invernali.

In nome del sangue, in nome dell'amoreWhere stories live. Discover now