. 21 . Sulla strada di casa

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. 21 . Sulla strada di casa

Ancora vestito di tutto punto, giaceva sul suo letto: gli stivali imbrattavano di fango e polvere le lenzuola, prima candide e stirate; i cuscini scalciati a terra e le federe maltrattate testimoniavano un sonno tormentato e frammentato. Il capo era riverso sul materasso, senza il supporto del cuscino, che invece era finito nell'angolo opposto del letto; teneva un braccio piegato sugli occhi, la barba ispida e i capelli spettinati; l'altra mano, poggiata sul ventre, stringeva il collo di una bottiglia di cognac, mentre un'altra era sul pavimento, completamente vuota; nessun bicchiere. Le imposte erano serrate, ma le pesanti tende di broccato blu rimanevano aperte, lasciando, involontariamente, filtrare sottilissime lame di luce aranciata del tramonto, che colpivano mobili e suppellettili, conferendo alla stanza un aspetto sinistro e trasandato, un luogo abbandonato e polveroso, ormai dimenticato.
Si era rinchiuso in quell'antro per una intera notte e per il giorno successivo; la porta chiusa a chiave, con tre rassicuranti mandate, aveva tenute lontane le incursioni della cameriera che, con il pretesto di riordinare la stanza o servirgli i pasti, aveva bussato più volte, senza ricevere risposta alcuna.
Anche sua madre vi si era recata supplicandolo di aprirle o, quantomeno, di risponderle, perché potesse assicurarsi che fosse ancora in sé.
Ma Miran non aveva risposto; neanche a lei. Piuttosto, come se i colpi fossero battuti ad un'altra porta, lontana e sconosciuta, aveva mandato giù un altro sorso di liquore, uno per ogni richiamo, con la speranza che non finissero, perché potesse continuare a bere, fino ad annichilirsi.Aveva sperato che l'alcol gli annebbiasse il cervello; che, ad un certo punto, dopo l'ennesimo sorso, la sua mente si spegnesse, come la fiammella di una candela al primo soffio di vento.
Quel vento salvatore, però non spirava, neanche dopo le due bottiglie vuotate: la sua mente vagava ancora, come in un sogno nebbioso, in un labirinto, dietro ogni svincolo del quale, non c'era un altro vano corridoio, ma l'immagine del tradimento e le voci che lo avevano rivelato.

Controllò ancora i conti sul registro contabile della tenuta: le annotazioni per le consegne delle sementi e dei nuovi attrezzi, destinati ai lavori dell'autunno imminente; l'acquisto di due pariglie di buoi per gli aratri e di un purosangue bianco destinato a Nubia.
La immaginò, con gli angoli della bocca ammorbiditi da un sorriso, mentre cavalcava l'animale: le mani guantate, perché non perdessero la loro delicatezza e i capelli sparpagliati dal vento. Il suo corpo si risvegliò all'immagine di lei addosso, selvaggia, impudica, con la bocca sfrontata e le cosce intorno ai suoi fianchi; un bruciore, quasi piacevole, investì la sua virilità tesa e impaziente e il desiderio di ritrovarla sotto le lenzuola si prese ogni pensiero. Si sollevò di scatto, lasciando le carte, la penna, appena intinta nel calamaio, e l'inchiostro grondante sul foglio immacolato, sparpagliati sulla scrivania, confusi e scompigliati esattamente come i sensi, e lasciò lo studio. Si diresse a passo spedito alle scuderie dove ordinò che gli sellassero proprio lo stallone di Nubia e, quando sella e finimenti furono sistemati, lo montò, raccomandando allo stalliere di riferire la propria partenza per la città a Saurion, perché si occupasse lui di tutto fino al suo ritorno.
Cavalcò come se scappasse dal fuoco o, di più, come se cercasse l'acqua per spegnere l'incendio devastatore che lo avvolgeva. Giunse alla sua casa di città trafelato, sudato per la corsa e il caldo estivo. Voleva entrare nella loro stanza da letto così com'era, con la polvere sulle labbra, il sapore acre del sudore sulla faccia, i vestiti sgualciti, poiché aveva desiderato quell'incontro troppo a lungo e con troppo spasmo per attendere ancora. Dunque, salì spedito al piano superiore e, fuori della porta, inspirò ed espirò per regolarizzare il battito cardiaco che non gli dava requie. Poggiò la mano sulla pomo della maniglia e, proprio nell'istante prima di ruotarlo, udì voci concitate e sommesse.
- Perché avete lasciato la tenuta? - chiese una delle due, che riconobbe appartenere alla sua sposa.
- Per ricordarti i tuoi doveri di moglie! - ribatté quella di sua madre.
Quella mattina stessa, Leria gli aveva comunicato, infatti, di volersi recare in città: il clima afoso della campagna era, per la propria salute, insopportabile in quel periodo dell'anno, dunque aveva avvertito la necessità di respirare aria di mare, più mite e fresca. Nonostante quella giustificazione, Miran aveva avvertito nel tono, con cui ella si rivolgeva alla sua sposa, una vena ostile, che non riusciva a comprendere.
- Dite, piuttosto, per controllare la mia condotta! - la corresse, Nubia, sfacciata e irriverente, come non avrebbe dovuto essere la nuora verso la suocera.
- Miran è mio figlio: ho il dovere di salvaguardare i suoi interessi ... - insistette.
- Non sono uno dei suoi affari ... sono sua moglie! - precisò, la giovane con ancora più determinazione.
Miran esultò di quella risposta diretta, che rispecchiava perfettamente la donna indipendente e forte, che era sua moglie.
- E' la medesima cosa: tu gli appartieni, come le terre, come i suoi braccianti e giacché, come loro, dimentichi quali siano i tuoi compiti, io sono qui per ricordartelo! -
- Badate, dunque, ai braccianti e alla tenuta ... -
- Di loro e della tenuta si occupa Saurion; di te, mia cara, mi occupo io! - rispose con una inflessione che somigliava ad una minaccia.
- Se credete di manovrarmi come una marionetta, siete in errore, signora: già vi dissi che sono io padrona di me stessa e se ciò non vi aggrada ... - la sfidò, - ... raccontate pure tutto a vostro figlio. La verità sarà la mia liberazione: dalla vostra prigionia e da un matrimonio soffocante che mi consuma ogni giorno di più! - terminò sospirando, come se si fosse liberata da un peccato innanzi al confessore.
Miran sbatté le palpebre confuso, la mente cominciò ad annebbiarsi, a perdersi in quelle parole chiarissime che, però, per lui erano incomprensibili e dolorose.
- Sei una sgualdrina! - gridò, Leria, chiaramente oltraggiata dalla giovane.
- Ingiuriatemi, ingiuriatemi pure, non mi importa: sono stanca di voi, stanca di mentire ... sono stanca di concedermi ad un uomo che non amo ... - la sua voce acquistò maggior vigore, quasi averlo rivelato a voce alta, le avesse restituito il diritto di essere e amare come voleva.
Miran poggiò le mani sul legno scuro della porta, dietro la quale si era fermato, per scaricare l'intero peso del corpo, giacché sentiva le gambe molli e incapaci di sorreggerlo. Il respiro si fece corto, come se l'aria mancasse e le tempie pulsarono ferocemente per il sangue che sembrava un fiume impazzito nelle vene.
- Maledetta, non ti permetterò di distruggere la vita di mio figlio: ti sei consacrata a lui nel vincolo del matrimonio e, per la luce dei miei occhi, rimarrai sua, finché il diavolo non ti porti all'inferno! - le giurò solenne e furiosa.
- Finché Eìos non venga a prendermi, vorrete dire! - la corresse sfacciata.
Il nome di suo fratello giunse alle proprie orecchie come un suono di una'eco dispersa dal vento in una valle, ed egli cadde sulle proprie ginocchia, come senza forze e stanco, disanimato come una pupazzo di pezza.
- E' sposato ... - le fece notare, nonostante fosse sicura che un uomo della sua specie non fosse capace di riconoscere un vincolo contratto né davanti agli uomini, né davanti a Dio.
- Questo non ha fermato mai alcuno ... Di certo non fermerà Eìos: io gli appartengo, dal momento in cui gli ho donato il mio ventre, ed egli è mio da quando mi ha presa. I nostri matrimoni non saranno mai un ostacolo. -
Quelle ultime parole gli arrivarono al cervello, dritte e improvvise, frecce scoccate dalla boscaglia; fuoco e fiamme, come l'inferno per i dannati, lo investirono, minandogli il respiro.
Dentro la sua mentre, l'immagine della propria donna nelle mani di Eìos, suo fratello ritrovato; la carne dell'una ad avvolgere quella dell'altro e le menzogne, tutte le bugie inanellate come una catena torturatrice, lo annientarono definitivamente.
La furia si prese il cervello, la rabbia gli inondò il cuore ferito.
Spalancò la porta, ultimo ostacolo che lo separava dalla verità morbosa e lacerante, e afferrò Nubia per le spalle, scotendola, mentre ella, frastornata dalla sorpresa, terrorizzata dalla stretta e ancor più dagli occhi inumani del suo sposo, rimase con la bocca spalancata, incapace di muoversi e di parlare.

In nome del sangue, in nome dell'amoreWhere stories live. Discover now