. 18 . Come fratelli

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. 18 . Come fratelli

Il porto di Patnarak, brulicava di persone.Soltanto poche ore prima, un'enorme nave mercantile vi aveva attraccato e le operazioni di scarico delle merci, che aveva trasportato durante la lunga traversata, erano ancora in atto. Per dare accesso alle stive di carico, erano state disposte grandi passerelle di legno, in maniera da collegare i boccaporti alla banchina, e decine di marinai e scaricatori le percorrevano, ora in un verso, ora nell'altro, trasportando casse di ogni dimensione, come file di formiche operose, che approvvigionano il formicaio con le provviste invernali.
Decine di persone si affollavano, camminando e correndo, ciascuna nella propria direzione, scontrandosi o evitandosi a malapena, pronunciando improperi in lingue sconosciute e grida di richiamo; si accalcavano davanti ai banchi dei venditori, che urlavano la bontà delle proprie merci, imbonendo gli acquirenti.Ariela non aveva mai visitato il porto, specie quando le navi provenienti da lontano attraccavano: la moltitudine di persone poco raccomandabili, di marinai in franchigia, spesso ubriachi e pericolosi, di donne perdute, di mendicanti o imbroglioni ne facevano un luogo proibito per le signore della sua estrazione sociale. L'odore di mare morto; dei rifiuti scaricati dalla nave, insieme alle merci; il puzzo di sudore e la folla accalcata, ammorbavano il respiro e la costringevano a camminare aggrappandosi il più possibile al proprio sposo, come il rocciatore all'imbragatura che lo assicura.
Di contro, Eìos non era affatto fuori posto in quella bolgia chiassosa e puzzolente: aveva fatto il callo a quei luoghi durante gli anni trascorsi in mare, su navi come quella ora all'ancora; si muoveva con estrema disinvoltura in mezzo alla fiumana di gente, impedendo che gli cadesse addosso o lo sfiorasse soltanto, come se uno scudo trasparente ed impenetrabile lo avvolgesse, proteggendolo. In quella stessa bolla rassicurante, preservava anche il corpo di Ariela, flessuoso come un giunco di fiume, ma impacciato, come un alieno in una terra sconosciuta. Se la stringeva addosso, allacciandole un braccio deciso intorno alla vita e l'altro sulle spalle, mentre ella gli teneva il viso poggiato sul petto, all'altezza dell'omero, inspirandone il profumo di muschio, che copriva, col suo potere acquietante, ogni altro odore.Eppure quel luogo esercitava una potente, inconsueta attrazione: l'arroganza dei colori, l'incanto di lingue straniere e incomprensibili; l'alacrità confusa di un caleidoscopio di umanità sconosciuta l'ammaliavano, come in una pratica magica, che seduce e avvince con il potere soprannaturale.
Man mano che si allontanavano dalla banchina affollata, i suoni si diradavano, assottigliandosi in borbottii sommessi, il numero delle persone diminuiva, fino a ridursi ad alcune decine di operai e marinai che lavoravano nel bacino di carenaggio.
Lì, le barche, piccole e grandi, erano portate completamente in secco; venivano issate su impalcature poderose per eseguire lavori di manutenzione o riparazione al fine di liberare la carena dalle incrostazioni, dalla vegetazione e dalle ossidazioni provocate dalla permanenza in mare.
- Capitano! - lo chiamò un ragazzino appollaiato su una di esse, il viso lentigginoso ed i capelli rossicci; le mani e la camicia imbiancati dalla polvere prodotta scartavetrando lo scafo di una barca di modeste dimensioni.
Eìos rispose al saluto, sollevando la mano che aveva tenuto stretta la spalla di Ariela.
- E' quella! - indicò, con l'indice della stessa mano, proprio la barca a cui il ragazzino lavorava.
Ariela si districò dal mezzo abbraccio, che ancora la legava a lui, e, a piccoli passi, sollevando l'orlo delle vesti che infastidivano il suo incedere, vi si avvicinò.- Quella è la chiglia. - spiegò puntuale, guardandola osservare lo scafo che, visto dal basso, sembrava un enorme guscio di noce, - E' una trave di legno massiccio che percorre l'imbarcazione da poppa a prua. - continuò, indicandole, di volta in volta, gli elementi strutturali che andava nominando, - Sui suoi lati, in apposite scanalature, sono incastrate le tavole che formano i fianchi dello scafo. - terminò, fermandosi alle sue spalle. - Sull'albero, saranno inferiti una randa* trapezoidale ed un fiocco*, di colore blu. -
- Blu, come il blu degli oceani. - approvò, quasi tra sé.
- Blu, come i tuoi occhi. - precisò, avvolgendole un braccio intorno alla vita e appoggiandole il mento sulla spalla, mentre, nella mente, si affacciava, prepotente, l'immagine della prima volta che li aveva incrociati, - Manca solo il nome ... -
- Si chiamerà Argo. - gli rispose, stringendo la mano di lui con le proprie dita sottili.
- Come la nave degli Argonauti? - ridacchiò, sorpreso, - Che nome avventuroso: credevo che ne avresti scelto uno più ... romantico! - la stuzzicò.
- E cosa c'è di più romantico di un avventuroso viaggio alla riconquista di un tesoro? Non è, forse, l'amore stesso una ricerca eroica ed affascinante che ci conduce nelle terre ostili della parte più intima e nascosta dell'anima dell'altro? - gli rispose a tono.
- Argo ... - rifletté, - Mi piace! - la rassicurò, slegandola dalla stretta e facendola voltare per guardarla in viso. - Come mi piaci tu. - le sussurrò all'orecchio, per poi incamminarsi verso l'uscita della darsena e tornare a casa.
Percorsero a piedi la strada che dal porticciolo conduceva alla piazza della città.
Il grande spiazzo circolare, pavimentato con cubetti di porfido posato a pavè, circondava una fontana in pietra, dalla quale zampillavano getti d'acqua che, per effetto della leggera brezza, spargevano una miriade di piccole gocce scintillanti.Proprio nei pressi di quest'ultima, sostavano, l'una sotto braccio all'altro, Miran, l'abito signorile, il bastone cesellato e la posa del gentiluomo, che sembrava studiata per un dagherrotipo°, e Nubia, l'ombrellino di seta avorio, a difenderla dal sole ormai calante, i guanti di pizzo ed il cappellino sul capo, dal quale si liberavano ciocche brune di capelli, animate dal vento.Nell'istante in cui Ariela li notò, ebbe un sussultò e strinse con più forza il braccio di Eìos, al quale era allacciata. Non vedeva sua sorella dal giorno delle proprie nozze e, nonostante le parole appuntite e dolorose, che le aveva riservato nei giorni precedenti fossero state smentite dalla dolcezza, dalla premura e dall'amore del suo sposo, trovarsi di fronte al suo sorriso sfrontato e superiore, minava le proprie sicurezze. Non riusciva a distogliere il pensiero dalla sua promessa che, prima o poi, quando il risentimento di Eios fosse scemato, avrebbe fatto di tutto per riallacciare i legami, anche a scapito del proprio matrimonio con Miran.
Conosceva Nubia: mai nella vita aveva desistito nella ricerca spasmodica di ciò che bramava. Fin da bambina, le sue moine, i begli occhi scuri, la curva imbronciata della piccola bocca avevano espugnato ogni resistenza educativa dei genitori; da fanciulla poi, il fascino della donna in fiore, il sorriso seducente, e i gesti accattivanti della sirena incantatrice si erano presi l'attenzione di ogni uomo l'avesse incrociata.
Eìos non era stato, certo, da meno: ne era stato sedotto, l'aveva avuta, l'aveva amata e, credeva dolente Ariela, nessun uomo è immune dall'attrazione carnale per una donna che è stata sua, neanche se ne ama un'altra.
O almeno, questo era ciò che le avevano fatto credere!
Eìos tirò su gli occhi, percependo il corpo della sua sposa irrigidirsi, e incrociò gli occhi chiari e pacati di suo fratello.
Ogni qual volta guardava quegli occhi, rivedeva il viso paffuto e sorridente del ragazzino che l'aveva accolto e quel ricordo lo feriva reiteratamente, un ago che entra ed esce, per suturare la ferita, insinuando perfido una sequenza di domande infide alle quali il cervello rispondeva risoluto, ed il cuore, di contro, tentennava.
Si chiedeva perché non potessero essere fratelli, come il sangue invocava, adesso che anche Miran sapeva.
Talvolta, però, la risposta non è difficile da trovare, ma impossibile da accettare.
Come vibra la bacchetta del rabdomante, trovata la vena d'acqua, allo stesso modo, vibra l'anima davanti alla verità, pur se celata alla coscienza, e la verità, che Eìos si ostinava a nascondere a sé stesso, era la vergogna per il ricatto e le omissioni, per le bugie ed i tradimenti, che il suo stesso sangue e la donna che aveva sposato, avevano perpetrato. Ma, sopra tutto, il disgusto che gli avrebbero provocato, quand'egli li avesse scoperti, travolgendo irrimediabilmente ogni legame di sangue e ogni desiderio di amicizia.
Strinse le dita di Ariela, come se in quella morsa delicata stesse la forza prorompente del guerriero che affronta lo scontro, confortato dal compagno d'arme, e, accompagnandosi a lei, vi si avvicinò.
La mano di Miran, subito protesa verso la propria, fu l'invito che Eìos aspettava per sciogliere l'imbarazzo e la circospezione tra loro. Un fugace saluto col capo a Nubia, senza rivolgerle gli occhi, prosciugò ogni dubbio acquitrinoso nella testa di Ariela, che, sollevata, sorrise al cognato e sin'anche alla sorella. Nubia, di contro, gelosa e livida per quella più che palese intimità che traspariva nei gesti e nelle parole che i novelli sposi si scambiavano, ostentò una cordialità artefatta. Eìos le sembrava cambiato: i tratti del viso erano rilassati e docili, i gesti attenti e gentili nei confronti di Ariela, quasi l'unione coniugale lo avesse rabbonito, facendogli mettere da parte l'acredine, la rudezza che con lei aveva sempre adoperato.
Pensò che stesse diventando un insulso borghese, pigro e accomodato, che per il nome e il lustro che ne veniva, fosse persino disposto ad accettare un matrimonio noioso e non voluto e una sottomissione a tutte quelle formalità che aveva sempre aborrito.
Ma Eìos non era affatto cambiato: piuttosto, l'amore puro e ricambiato, che Ariela gli donava, gli aveva regalato finalmente la capacità di essere palesemente sé stesso, così come ella non lo aveva mai veduto.
Poiché l'amore non cambia l'indole delle persone, soltanto, le spinge a mostrare l'anima, che la sofferenza e la paura, hanno seppellito.
L'unico ad ignorare le trame nascoste di un passato che, se rinvenuto, avrebbe travolto le vite di tutti loro, rimaneva Miran che, dal canto suo, sentiva d'essere ad un palmo dal paradiso, con una moglie bellissima del cui respiro si nutriva, con un fratello riscoperto e una ricchezza interiore, che chiunque gli avrebbe invidiato.
Scambiarono i convenevoli di rito e Miran spiegò del desiderio, che non aveva saputo ignorare, della sua sposa di trascorrere qualche tempo con la madre e dell'intenzione di fare la spola tra la tenuta e la città pur di compiacerla.
Ariela si allarmò di quel nuovo assetto con cui avrebbe dovuto fare i conti, ma si affidò completamente alla lealtà del proprio sposo, sperando che né la troppa vicinanza, né gli assalti che Nubia, certamente, avrebbe messo in atto, sarebbero state tentazioni tanto valenti, da indurlo a cedere.
- Saremmo lieti di avervi ospiti nella nostra dimora. - li invitò, cordialmente, Ariela, con un tono deciso che mascherava le sue preoccupazioni. Aveva letto lo slancio del proprio marito nei confronti di Miran, conosceva il desiderio che egli aveva di consolidare quel legame traballante, minato da troppi anni di lontananza e verità nascoste, nonostante Eìos non gliene avesse mai parlato apertamente. Gli avrebbe dato, dunque, quella opportunità agognata, poiché lo amava sopra ogni cosa, di un amore generoso e fecondo e impavido.
- Ne saremmo lieti, davvero. - insistette Eìos, rivolgendole gli occhi, del solito verde intenso, ancora più accesi da una riconoscenza evidente per la sua donna intuitiva e prodiga.
- Perché no. - colse al volo l'occasione Nubia, - Potrò, finalmente, ammirare la tua casa, cara sorella. - aggiunse, con affettata dolcezza nella voce.
Ariela annuì e si avviarono, ciascuna sotto braccio del proprio consorte, verso i rispettivi calessini, per raggiungere la casa sulla spiaggia.

In nome del sangue, in nome dell'amoreDove le storie prendono vita. Scoprilo ora