«niente. Scusate ancora» provò ad allontanarsi, a concludere quella telefonata il roscio, ma la voce decisa, insolita di Isaac, si fece sentire, stupendo i suoi amici, soprattutto Thomas.

«sta sera veniamo da te. Dammi l'indirizzo» non era una proposta, ma un ordine.
Isaac non si era mai comportato così.
Thomas boccheggiò all'insistenza del biondo, troppo stanco solo per contestare

«non-non credo sia-» il balbettare di Thomas venne interrotto nuovamente dalla voce di Isaac.

«non mi interessa per un cazzo. Muoviti a darmi l'indirizzo di casa» i presenti sgranarono gli occhi al comportamento estraneo del biondo.

«Woolton Village 65» sospirò Thomas con il cuore in gola, stanco e stremato.

«bene. A sta sera» chiuse la chiamata Isaac, restituendo il telefono a Chase che l'ho osservava ad occhi sgranati, sorpreso come tutti i ragazzi presenti in quella stanza.

«che caratterino» ammiccò divertito Lewis, afferrando per i fianchi il biondino e portandolo ben seduto su di sé, sentendo lo sguardo truce di Chase.
Isaac alzò le spalle. La paura lo aveva stretto fino a farlo scoppiare.
Thomas posò il telefono sul comodino e piagnucolò al dolore ampio al sedere, stanco, terribilmente stanco e sovrastato dalle sue emozioni. Sentiva la testa leggera, girare frenetica e gli occhi impastati, pesanti come macigni, ma si sforzò ad alzarsi, sentendo immediatamente un conato di vomito che lo fece piegare in due. Odiava quella sensazione.
Odiava quando le emozioni lo sovrastavano fino a sfociare in un malore fisico. Era sempre così.
Con fatica si tirò su ed iniziò a muoversi per la stanza, seguendo le voci chiassose e gioiose dei suoi fratelli. Stentò nell'aprire la porta della cucina, domandandosi se effettivamente fosse il caso di entrare, di interrompere quell'attmosfera piacevole, spenzierata. Si domandò se fargli vedere il suo dolore, spiegargli cosa provasse fosse stata la scelta giusta.
Davanti a quella porta chiusa stentò, lasciando che i pensieri petrolio lo soffocassero.
Chi era lui?
Thomas non si riconosceva più.
Di sbieco si guardò allo specchio del salone, osservando come il viso, prima colorito e pienotto, fosse sciupato e candido, segnato da delle abrasioni sulle gote e da due grandi occhiaie petrolio che circondavano gli occhi verdi, gonfi e spenti; ci passò le dita come per assicurarsi della loro autenticità, osservandosi, triste, allo specchio. Con occhi attenti spostò le mani sulle labbra biancastre e spaccate, distrutte, per poi farle scorrere lungo la felpa larga, alzandola per intravedere l'addome soccitto e toccare con la punta delle dita le costole sporgenti.
Cosa aveva fatto?
La vista gli si annebbiò e sul viso delle lacrime caddero lente mentre, lentamente, riabbassava la felpa sull'addome scoperto.

«Thomas?»la voce di Charles risvegliò il roscio che sobbalzò sentendo nuovamente l'aria giostrare nei polmoni bambini. Non seppe che dire, stretto fra le sue spalle e tremamdo leggermente davanti al più grande che, con l'intento di andarlo a svegliare, se lo era ritrovanto davanti gli occhi bluastri.

«Tommy» lo chiamò Hanry alzandosi dalla sedia e, puntando il suo colore in quello simile, quasi identico, gli sorrise, abbracciandolo immediatamente.
Thomas non si mosse, sentendo le spalle tremare fra i pensieri spigolosi

«come ti senti?» gli accarezzò il capo il più grande, spostandogli dal viso i ricci rossi, color di fuoco. Thomas aprì le labbra biancastre, screpolate, non riuscendo a parlare, toccandosi la gola secca, bloccata. Le parole confusionarie gli si aggrovigliarono in bocca, incapaci di uscire, mentre gli occhi curiosi, spaesati dei piu grandi l'ho osservavano macchiandolo dei loro colori fino a consumarlo, facendolo agitare. Thomas non resse quegli sguardi, specialmente il ghiaccio di James che lo avvolgeva ben stretto nel suo colore fino a che, con occhi languidi, sentì le labbra tremare pronte per dare via libera ad un pianto chiassoso.
Thomas non aveva mai pianto così tanto.

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