CAPITOLO 2

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Matteo

<<Cosa disegni?>> chiese Andrea, mentre facevo qualche schizzo sul quaderno di matematica, i capelli color miele e gli occhi verdi, dal carattere apatico e distante io ero il suo unico e migliore amico. <<Nulla.>> gli risposi semplicemente, ero nervoso, irritato, facilmente suscettibile ecco non era giornata.

Non so nemmeno io ciò che stavo disegnando, mi stavo lasciando trasportare dalla matita sul pezzo di carta, assomigliava alla metà di un sole legato alla metà della luna.

La scuola era iniziata da una settimana e già mi annoiavo, inoltre era da una settimana che facevo pianoforte con Chiara, l'ho fatto per darle fastidio per cercare di distrarla essendo che è sempre così concentrata sullo studio, le ho dato qualcosa a cui pensare.

<<Faremo un test di ingresso per vedere se almeno vi siete presi la briga di studiare durante le vacanze.>> ci avvertì il prof, avrà avuto 30 anni circa ma era un vero stronzo.

<<Si prof non si preoccupi mi sono preparato tutta l'estate solo per lei.>> risposi con una risata che contagiò quella dei miei compagni, non che fossi il più simpatico di quella classe ma scherzavo appena ne avevo l'opportunità.

<<Ne sono lusingato signor Bianchi.>> mi ribatté con tono sarcastico.

La campanella risuonò nei corridoi annunciando la fine delle lezioni. Mi precipitai fuori dalla classe tornando a casa.

Pranzai e giocai alla play con Andrea per un tempo indeterminato, 17.00, 17.05, 17.10, controllai l'orario essendo che dovevo andare a pianoforte.

<<Cazzo è tardi, ciao Andrè.>> chiusi velocemente il pc e corsi da una parte all'altra della casa vestendomi, jeans neri cargo, felpa nike bianca, vans ed ero pronto.

Uscì di casa e mi diressi a lezione in bici infrangendo la maggior parte delle norme stradali.

Entrai nella sala con il fiato corto mentre mi appoggiai allo stipite della porta, Chiara mi stava squadrando con quei occhi marroni carichi di disprezzo ma poi parlò <<Sei in ritardo.>> mi riprese lei, era adorabile quando si incazzava e non faceva altro che farmi sorridere.

<<Può darsi sunrise, ma ora sono qua perciò rilassati ti vedo un po' nervosetta.>> la presi in giro mentre le mostravo un mio solito sorriso beffardo mentre i suoi occhi mi scrutavano dal basso verso l'alto con fare severo.

<<Per me non è un gioco Matteo, pianoforte per me è tutto e non permetterò a te di mandare in frantumi quello che ho creato negli anni!>> mi rimbeccò lei, il suo sguardo mi bruciava addosso.

<<Nemmeno per me è un gioco sunrise, sono solo arrivato in ritardo quindi vedi di non iniziare con le tue ramanzine del cazzo.>> <<Sei proprio drammatica.>> aggiunsi incrociando il suo sguardo, c'era tensione, l'aria sembrava si stesse comprimendo, nessuno però voleva mollare per primo finché una voce parlò e mi costrinse a girare la testa per vedere di chi trattasse.

<<Oh vedo che siete arrivati.>> era Marina l'insegnante di musica una donna sulla cinquantina di anni, i capelli legati in una crocchia, gli occhiali tondi come quelli di Harry Potter e il fisico formoso. 

Iniziammo a suonare una melodia semplice come riscaldamento, passando poi ad una più complicata nella quale mi persi a guardare le dita di Chiara che muoveva sul pianoforte con una determinazione pazzesca e sbagliai nota. "Concentrati Matteo."

<<Da capo.>> disse Marina, Chiara mi guardò male mentre alzai le spalle.

La suonammo per la seconda volta e feci del mio meglio per non distrarmi.

<<Non pensa che io e Matteo siamo a due livelli completamente diversi? Voglio dire lui è un principiante e io faccio pianoforte da quando ho 9 anni.>> La voce di Chiara suonò dolce ed educata ma sappiamo entrambi che a me avrebbe detto ciò sbraitando.
<<Matteo ha un talento innato allora.>> rispose Marina sorridente.

Traduzione: In pratica sono meglio di te.

<<Dico sul serio Marina..>> ci riprovò di nuovo la ragazza in disaccordo con l'insegnante. 

<<Anch'io cara.>> le rispose Marina mantenendo il suo sorriso caloroso.

Finimmo lezione e Marina lasciò la stanza mentre Chiara si metteva la giacca, mi appoggiai con la schiena al muro e la guardai <<In pratica sono meglio di te sunrise.>>

<<Tu? Meglio di me? Quando si accorgerà di come suoni veramente vedremo quanto ancora ti vanterai, piuttosto va a dipingere che forse è l'unica cosa in cui sei capace.>> mi sputò la frase con amarezza.

<<Non te la prendere, non è colpa mia se ho un talento innato, ci vediamo a scuola sunrise.>> e con un sorrisino stampato in faccia uscì anch'io lasciando Chiara sola in quella stanza riscaldata.

Tornai a casa e mi misi a finire di dipingere la tela per scuola, mentre il mal di testa mi assalì la mente e qualche flashback mi allontanò dal mio lavoro.

"Ero in una stanza di ospedale disteso il mio corpo era immobilizzato, aprì lentamente gli occhi e vidi seppur offuscata la sagoma di mia mamma che piangeva mentre mi teneva la mano. Mamma? io parlavo ma nessuno rispondeva e ancora la chiamavo ma ancora una volta nessuna risposta."

Mi feci forza di scacciare via quel brutto ricordo e decisi di fare una doccia per rigenerarmi e mentre l'acqua mi bagnava il corpo tonico, i miei muscoli si rilassavano all'impatto e nel mentre canticchiavo una strofa di una canzone "dimmi cos'hai, nello specchio cosa vedi di sicuro non quello che sei."

Uscì dal box mentre i miei occhi verdi scrutavano quella corporatura pallida allo specchio, che al tocco poteva rompersi in mille pezzi, perché se agli altri potevo mostrare la maschera che indossavo a me stesso non potevo mentire e non potevo scappare al destino.

Cenai da solo essendo che i miei erano a lavoro e la sera mi concedetti alla mia serie TV, stravaccato sul divano con una birra e un pacco di patatine, la notte incombeva sulle case, mentre le tenebre avvolgevano la città nell'oscuro e gli occhi iniziavano a chiudersi finchè non caddi tra le braccia di morfeo sul divano con la birra in una mano e nel mentre la mia mente iniziò a vagare..

"Ce la faremo amore mio tranquillo, a fare cosa mamma? nessuna risposta ancora una volta, perchè non me lo dicevano? che stava succedendo?"

Mi svegliai mettendomi a sedere gli occhi assonnati, la maglietta leggermente bagnata, il sacchetto di patatine a terra, la birra ancora salda nella mia mano, la luce della luna che bagnava lo scenario, tutto perfettamente regolare no? Visto da fuori si, ma dentro era un casino, una tempesta, un uragano che lentamente stava spazzando via tutto.

Misi tutto apposto finendo la birra e me ne andai in camera mia buttandomi sul letto come un sacco di patate cercando di dormire.

Il demone mi avrebbe mai lasciato dormire?

In salute e in malattia sempreWhere stories live. Discover now