Capitolo 6

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«Come stai?».

«Bene, sono indaffaratissima in questo periodo, sto lavorando a una nuova mostra d'arte contemporanea da allestire per il weekend!».

Osservavo mia cugina Alice seduta sulla sedia di paglia intrecciata del mio balcone: gli occhi blu, un anello con un rubino alla mano destra. Scuoteva la testa contenta, emozionata per il nuovo lavoro, numerosi bracciali tintinnavano sul polso mentre portava indietro i capelli mossi e scuri, raccogliendoli sotto l'orecchio. Mi sorpresi a pensare che quel gesto lo faceva anche da piccola. Quando era nervosa, portava sempre indietro le ciocche che mia zia non riusciva a legare. Quello sguardo sognante, però, non lo vedevo da anni.

«Sono contenta di vederti così entusiasta, vuol dire che stai facendo la cosa giusta, il lavoro per te, quello che hai sempre voluto. No?».

«Certo, sono emozionatissima. Chissà, magari un giorno potrò esporre anche i miei quadri!».

«Ma sì, vedrai, prova a chiedere una mano a Sergio. Si chiama così il tuo capo, no?».

«Eh sì, a proposito di Sergio...».

«Beh, che c'è?».

«Abbiamo una storia!».

«Cosa?».

«Sì, da un paio di mesi. Niente di serio, però non lo sa nessuno, altrimenti penserebbero che sono raccomandata. Invece io voglio farcela con le mie forze».

«Alice, ci hai pensato bene? A tutte le conseguenze che ne potrebbero derivare?».

«Sì, certo che ci ho pensato. Ma che posso farci? Mi piace proprio, con quella sua aria da artista e quel profumo di pino silvestre!».

«Pino silvestre? Okay, sorvoliamo sui dettagli, grazie».

Mi guardò di sottecchi, arricciando il naso. «Mi prendi in giro? Tu, invece? Vuoi continuare così?».

«Così come? Non ho niente di particolare da raccontare, ormai vivo alla giornata».

«Zaira, ma ti senti? Vivi alla giornata? Dopo quello che hai passato? Non sei una che vive, sei una che sopravvive, una che ha lottato per arrivare fin qui. E non devi buttarti giù ma continuare per la tua strada come hai sempre fatto, sempre a testa alta nonostante tutto. Dov'è finita la Zaira che conoscevo?».

Rimasi senza parole, la guardai e mi tornò alla mente tutto: noi da piccole con i nonni, i ricordi insieme, le sue manine che prendevano le mie per cercare le margherite nel prato, le uniche gioie della mia infanzia, forse. Piansi lacrime salate di nostalgia, che Alice prontamente asciugò via con un fazzolettino di carta.

«Tornerà tutto a posto, andrà tutto nel verso giusto, vedrai. Io sono qui se hai bisogno».

«Hai notizie di loro?».

«Dei tuoi? Di tuo padre non so niente. Tua madre se la cava discretamente, ha trovato un lavoretto come cameriera. Luca e Giorgio lavorano sempre in quel cantiere ma di tuo padre non so nulla».

«Okay». Abbassai gli occhi. La verità sbattuta in faccia fa sempre male. Osservai i miei gerani rossi che crescevano a una velocità impressionante. Volevo rinascere anche io come loro, sentir germogliare dentro me quella felicità che non provavo da tempo.

«Tesoro, devo tornare a casa, ci sentiamo più tardi. Stai tranquilla, mi raccomando». Alice si alzò.

«Certo. Anzi, scusami. Vai, ti chiamo dopo».

L'abbracciai stretta a me, come se non volessi lasciarla scivolare via. Una volta giunte alla porta, si girò e con quegli occhi blu che mi leggevano l'anima disse: «Abbi cura di te!».

ZAIRAWhere stories live. Discover now