Capitolo 4

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La mattina seguente mi alzai euforica, pensai a Farah e alla giornata che si prospettava; finalmente dopo tanto tempo mi sarei dedicata a me stessa, solamente a me stessa. Nessun pensiero negativo, nessun ricordo. Farah mi passò a prendere con la sua Smart nera sotto casa e, per la felicità, emetteva dei gridolini di tanto in tanto.

«Buongiorno, bellezza. Dove la porto?» chiese lei.

«Oggi ho un solo programma: non avere programmi! Facciamo quello che ci pare e piace!» risposi ridendo.

La prima tappa fu il parrucchiere. Farah optò per un taglio corto e sbarazzino con la frangia lunga che le cadeva sul viso, io invece cambiai colore da biondo cenere a una calda tonalità cioccolato, e li spuntai. Facemmo il giro di via del Corso e piazza di Spagna, fino ad arrivare al Colosseo, dove ci sdraiammo su un prato. Quanto era bella Roma! Ogni volta riusciva a incantarmi con il suo paesaggio, con il suo patrimonio artistico.

Farah prese i panini dalla borsa frigo e, porgendomene uno, iniziò il discorso: «Stavo pensando che dovremmo fare un viaggio insieme. Non so... a Londra, Parigi o New York. Un posto dove poter ricominciare, dove ripartire alla grande. Capisci cosa intendo?».

«Sì, ma non è facile. Abbiamo gli esami e poi servono i soldi. Devo pagarmi l'affitto, lo sai». Guardai un punto fisso nel vuoto, pensierosa.

«Cavolo, ci penso io, non ho problemi di denaro».

«Non esiste proprio che tu mi paghi il viaggio».

«Ne riparleremo, tranquilla!».

Dopo il pranzo, riprendemmo la macchina e andammo in un centro benessere dove lampada e massaggio ci aspettavano. Farah non si sentiva minimamente in colpa a usufruire della carta di credito del padre ma io già immaginavo la scena quando lui lo avrebbe scoperto.

La ragazza che ci accolse era notevolmente abbronzata e truccata nei minimi dettagli, avvolta in una nuvola di Chanel n°5 e in un biondo abbagliante; ci condusse nello spogliatoio e ci lasciò gli asciugamani.

«Insomma, mi dicevi di Stefano? Ti ha organizzato la festa a sorpresa?» disse una voce proveniente dalle docce.

Io e Farah ci guardammo sgranando gli occhi.

«Sì, lascia stare, mia madre lo sapeva già e quindi me lo ha riferito. Purtroppo, si è messa in mezzo Zaira... Ho sentito che il ragazzo l'ha mollata per un'altra, la storia più vecchia del mondo!» rispose Chiara con la voce da gattamorta.

Farah riuscì a bloccarmi in tempo e a trascinarmi fuori dallo spogliatoio prima che potessi compiere qualche gesto inconsulto: ero completamente nera.

«Ma chi cazzo pensa di essere quella?» esplosi, una volta uscita.

«È una cretina, lasciala stare».

Non riuscivo a calmarmi, ringhiavo a denti stretti come per dimostrare a Chiara che si sbagliava, che non ero stata lasciata, che non mi sentivo affatto un misero rifiuto. O forse cercavo disperatamente di dimostrarlo a me stessa.

Farah mi trascinò nella Smart e ripartimmo a tutto gas, mise un cd e restammo in silenzio per tutto il viaggio di ritorno, entrambe assorte nei propri pensieri.

Era davvero assurdo che Chiara si permettesse di giudicarmi in quel modo, a malapena mi conosceva. Probabilmente Stefano le aveva detto del bacio ma di quello non mi importava, piuttosto quella frase sputata fuori con estrema superficialità mi irritava enormemente. Nonostante tutto, quando parlavano della mia relazione passata diventavo una iena.

Farah mi riportò a casa con la promessa di chiamarmi in serata ma non fui sola quel pomeriggio, l'immagine di Davide mi tornò in mente più volte. Come si può amare poco o piano? O non abbastanza? Avevo un asciugamano strizzato al posto del cuore, pervaso da malinconici ricordi, attimi che non sarebbero più ritornati, flash di fotografie nitide come fosse ieri.

«Voglio vivere con te, un giorno».

«Cosa?».

«Sì... voglio averti al mio fianco, portarti la colazione a letto, osservarti mentre dormi, tenerti fra le mie braccia, ridere e fare l'amore tutto il giorno».

«Non so cosa dire... non me lo aspettavo».

«È un no?».

«È un sì, scemo».

Il ricordo di quegli occhi verdi esplose all'improvviso nella mia testa, come la ferita bruciante di un ginocchio sbucciato o un piccolo taglio fatto con un foglio di carta. Quel dolore era ancora reale. E io stavo male, male tanto da vomitare.

Inutile dire che quella notte non dormii, ripensavo non solo a quanto era accaduto, ma anche a Farah che era sempre presente, al suo modo di calmarmi come nessuno sapeva fare, alle promesse che ci eravamo fatte di notte nella sua camera, a quanti pianti aveva dovuto sopportare e a quante lacrime aveva asciugato pur di farmi stare bene. Certe persone non si incontrano per caso, forse Dio le mette sul nostro cammino perché è giusto così, perché probabilmente sono destinate a darci qualcosa. E se la vita mi aveva tolto una famiglia, una stabilità e quello che credevo fosse l'amore della mia vita, lei invece rappresentava un dono.

La prima volta che vidi Farah ero a Villa Borghese, correva con la sua tuta grigia. Bastò un secondo, lei alzò i suoi occhi e, in qualche modo, fu come se avesse voluto dirmi: «Eccomi, sono qui. Sappi che farò parte della tua vita e non scapperò come tutti gli altri, no. Io no, ti amerò davvero e sarò l'amica più fedele che tu abbia mai avuto».

Sentii qualcosa di bagnato sulla mano, la sveglia era già suonata tre volte e Pit mi stava leccando le dita: aveva fame. Quella mattina non avevo voglia di andare a lezione, perciò decisi di dedicarmi alle faccende domestiche. Avevo panni da lavare, stirare, la polvere sugli scaffali aveva oltrepassato il centimetro e i miei libri erano sparpagliati per tutta casa. Inoltre, la cucina sembrava un campo di battaglia, sul lavabo due vasetti di yogurt aperti, il frigo semivuoto.

«Eh, no, Pit. Non ci siamo» dissi guardandolo teneramente.

Per tutta risposta, Pit continuò a starmi dietro, voleva la sua razione quotidiana di carne e così lo accontentai. Presi anche la scatola di croccantini e accesi la radio; la voce di una giovane cantante, appena uscita da un noto talent show, risuonò squillante:

"Per far restare il ricordo in me come se fosse un fermo immagine.

In bilico su tutto ciò che non vorrei dimenticare".

Il peso dei ricordi a volte diventava insopportabile ma la musica, spesso, contribuiva a lenire in parte il dolore e riuscivo a ragionare a mente più lucida. Il mio passato era un groviglio di emozioni contrastanti, la mia famiglia non era mai stata un porto sicuro e, inconsciamente, questo aveva pregiudicato le mie relazioni. Ero sempre rimasta fregata, in amore e in amicizia, forse perché, per la mia smisurata voglia di essere amata, davo tutta me stessa senza ricevere altrettanto in cambio. Eppure, ero sempre stata dell'idea che ogni sentimento andasse vissuto con pienezza e passione, con intensità, per non sentirci corrosi dai rimpianti quando saremo settantenni incalliti.

Iniziai le pulizie e, mentre spolveravo i miei amati libri, ripercorsi vari momenti della mia vita: Matilde di Dahl e Ascolta il mio cuore della Pitzorno avevano rappresentato la mia infanzia, li avevo letti fino a sgualcirli tutti, riletti come se ogni volta fosse la prima. Mi ci tuffavo fino al collo, rappresentavano un rifugio caldo e sicuro. Il Piccolo Principe svettava anch'esso in cima alla classifica dei libri "storici" e lo rileggevo sempre volentieri. Poi c'erano Tolstoj e la Austen, il mio pane quotidiano. Shakespeare mi aveva accompagnata nella crescita insieme alla Woolf, a Joyce, alla Brontë, a D'Annunzio, Machiavelli e Stoker. Dickens mi sembrava che conoscesse ogni mio segreto poiché, leggendo i suoi libri, vi confidavo tutti i miei pensieri. Volevo essere la protagonista de La piccola Dorrit. Amavo la Gran Bretagna e forse, come diceva Farah, era davvero il caso di partire. Gli autori latini mi avevano insegnato moltissimo quando ero al liceo e li conservavo come preziosi cimeli da cui trarre spunti e lezioni quotidiane. Nonostante ciò, la polvere era veramente troppa, pertanto spalancai le finestre per far arieggiare la stanza e ripresi a sistemare i libri. Improvvisamente sentii squillare il telefono. Vidi il nome di Stefano e ritornai di colpo alla realtà. Non ero pronta, non avevo voglia di contatti esterni né tantomeno volevo affrontare i commenti di lui in merito a ciò che aveva detto Chiara. Tolsi la vibrazione e sbuffai, avvertii la pesantezza del nuvolone grigio, non solo fuori, ma anche dentro l'anima.

ZAIRADove le storie prendono vita. Scoprilo ora