1. Ancella

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«Alzi le braccia»

Un invito estremamente gentile. La donna che mi aiuta a vestirmi ha una voce bassa e composta. Prudente.

Obbedisco alzando entrambe le braccia verso l'alto. La donna solleva il vestito bianco e inizia ad infilarmi le maniche sotto lo sguardo autoritario di Virginia, la nostra governante.

Scivolo dentro l'abito in crepella di lana e per un attimo vedo solo il bianco del tessuto. La mia testa sbuca fuori dalla scollatura e non posso fare a meno di cercare con lo sguardo lo specchio. L'abito mi sta apparentemente un po' lungo, ma c'è ancora tempo per rimediare.

Con una mano raccolgo i capelli lunghi e me li porto sul petto, per rendere più agevole l'abbottonatura sulla schiena. La donna venuta ad assistermi mi gira attorno, si china e comincia ad allacciare i minuscoli ganci bianchi sul retro.

Virginia scuote la testa.

«Visto? Ti sta grande! Lo sapevo. Dovremo mettere un po' di ciccia su queste ossa, altrimenti penseranno che non ti diamo abbastanza da mangiare» dice alludendo alle mie braccia sottili. Sorrido debolmente mentre cerco di abbottonarmi il polsino sinistro con la mano libera.

«Lascia fare a me, tu devi solo stare ferma» mi dice sbrigativa prendendomi il polso.

«... e dritta» aggiunge subito dopo notando la mia postura leggermente incurvata. Mi raddrizzo immediatamente e mi impongo di restare immobile. Voglio solo che questo strazio finisca.

Manca ancora più di un mese ai Terminalia. Avremmo il tempo di scucire e rifare l'abito da capo almeno venti volte, se ne avessimo voglia. Ad ogni modo io spero che non sia necessario, anche se Virginia vuole che sia perfetto e per questo continua a mandarlo indietro alle sarte per farlo stringere, aggiustare, rifinire. Questo sarà il mio anno da ancella Terminale, un privilegio che avviene una sola volta nella vita. A me tutta questa ufficialità sembra solo una grande noia, ma so che per molti la cerimonia è importante perciò ho intenzione di fare il mio dovere, per quanto possibile.

Il vestito comincia a pizzicarmi. Alzo e abbasso le spalle per cercare di stare un po' più comoda.

«Se non stai ferma non finiremo mai di abbottonare!» tuona Virginia.

Subito abbasso le spalle e tento di ricompormi. Dopo qualche minuto la loro opera è finita e posso finalmente specchiarmi senza mani che tirano il tessuto e mi toccano. Mi poggio le nocche sui fianchi. Il vestito è molto bello, con il corpetto e i polsi stretti, lo scollo quadrato e le maniche vaporose. Butto indietro i capelli lisci liberando l'angolo delle spalle per poter vedere meglio la scollatura. Mi rigiro soddisfatta.

«Mi pare molto bello» dico trionfante.

«Sarà bello quando sarà finito» sbotta Virginia.

Incrocio il suo sguardo riflesso nello specchio e le rivolgo un'occhiata interrogativa, poi mi giro a fissarla direttamente negli occhi.

«C'è poco da guardarmi in quel modo signorina» sbuffa riprendendo a tormentare la stoffa. «L'orlo è ancora lungo e i polsini larghi».

Cerco di valutare i difetti che lei ha elencato ma mi sembrano totalmente insignificanti.

«Per me va bene così» dico toccandomi distrattamente una manica.

«Giù le mani, così rischiamo solo di sporcarlo» mi rimprovera dandomi un colpetto sulle dita. «Ora mettiamo un paio di spilli e poi lo togli di corsa. Vedrai che sarà perfetto una volta ultimate le modifiche» dice sbrigativa.

È impossibile ribattere, finirei solo col farla arrabbiare di più. Sollevo un braccio e la sarta venuta ad assistere alla prova piazza veloce una serie di piccoli spilli argentati sulla manica. Fa lo stesso anche sull'orlo inferiore della gonna, mentre Virginia le dice esattamente quanto deve essere lungo l'abito.

Parodo - L'epilogo di PharusWhere stories live. Discover now