67. La sorgente di tutti i mali.

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E io non volevo che lui... che lui mi odiasse per quello.

«Scusami» sussurrai. Avvertii la sua presa diminuire di intensità. «Scusami per averti costretto all'impossibile, scusami per essere un peso tra te e i tuoi obiettivi. Scusami per averti obbligato a nascondere o a soffrire. Scusami per non averti mai chiesto il permesso. Scusami se ora ci troviamo qui, anche se non volevi. Scusami di averti rovinato la vita, non meritavi tutto questo, James. Ti prego perdonami» Ripetei affranta. Sapevo che sarebbe arrivato al limite e che sarebbe stata colpa mia. «Basta una sola parola e andiamo via» enunciai senza remora. Avrei abbandonato tutto se solo lui me lo avesse chiesto.

Il ragazzo tremava e sussultava, mentre rinnovava il nostro abbraccio con più intensità. Ispirò tra i denti emettendo un suono gutturale, molto simile a un riso strozzato.

«Posso solo che ringraziarti di avermi permesso di essere al tuo fianco per tutto questo tempo. Non fraintendermi, ho avuto paura e ho tutt'ora paura di quello che accadrà, ma non ho neanche un rimorso. Questa era la vita che era stata progettata per me, con te che sei la mia sorellina. Sono stato io a decidere di seguirti. Non ti avrei mai abbandonato. Lo farei altre cento volte se fosse necessario per saperti al sicuro.»

«Io altre mille» rincarai la dose ridendo tra i denti stretti.

«Ma ciò non toglie che sono terrorizzato, cazzo! Ho la gola secca e le gambe di gelatina» iniziò coprendo la bocca con le mani e allontanandosi così che potessi osservarlo in tutto il suo orgoglioso timore. Era quello il problema con gli eroi. Non accettavano di poter aver dei punti deboli... e Blake era il suo. Petto irto e mascella tesa ad osservare un cielo senza stelle, ma pieno di luce. «E se lui non volesse vedermi? E se non fossi abbastanza? Io... io... l'ho odiato per ventiquattro anni della mia vita.»

«E ora? Cosa provi adesso, cosa vuoi veramente?» Mi scrutò vulnerabile come non mai, mentre si asciugava le lacrime salate.

«Io voglio... conoscerlo.» Allungai una mano verso di lui, appoggiandomi con la fronte al suo petto.

«Allora sai già cosa fare. Lo hai sempre saputo, fratellone.»

Mosso da quelle parole e dagli sguardi speranzosi dei nostri compagni James si fece strada, dapprima attraverso la breccia con passo sostenuto, per poi iniziare a correre tra gli stretti corridoi in pietra e urlare con la voce impregnata dall'emozione.

«Papà dove sei? Papà sono qui, sono James!» Lo seguimmo a ruota a perdifiato, attraversando la coltre di piante, mentre la sua voce riecheggiava nelle eterne rocce calcaree. Avremmo seguito la fonte di luce e sapevo che saremmo arrivati a lui.

«Blake Bellamy!» urlai a mia volta. «Signor Bellamy!», «Papà di James!», «Blake!», tutti volevano contribuire a realizzare al più presto quell'incontro. La foga e l'adrenalina avevano invaso ogni singola cellula del nostro corpo.

Ripetevamo quelle parole come un mantra per esorcizzare la paura. E ci fece maledettamente bene: avevamo uno scopo ben preciso.

Più ci addentravamo nel rudere, più avvertivamo il cambiamento nell'aria. I primi sussurri lontani, i primi segni di vita, i primi fasci luminosi riflessi dai quarzi. Eravamo vicini, maledettamente vicini.

«Papà!» James virò per l'ultima curva con la voce strozzata, fermandosi e inspirando profondamente. Ci bloccammo dietro le sue spalle osservando il maestoso albero di luce diradarsi da un pozzo di cristalli verso l'alto e squarciare il cielo come mille lampi. Respiravo affannosamente, mentre trovavo in Chris un degno appoggio, il quale mi scrutava esterrefatto.

Mi servì qualche secondo per abituarmi a tutta quella folgore, mettendoci ancor di più per accorgermi che non eravamo soli in quell'immenso anfiteatro.

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