Capitolo 7

58 13 15
                                    

XAVIER

Anno 1959

L'aria era afosa nell'aldilà. Il colore cremisi del sangue continuava a dipingere il pavimento sotto i miei piedi. L'odore di putrefazione solcava il cielo scuro sopra le nostre teste, ma il naso, ormai assuefatto a quel fastidioso olezzo, non si arricciava più come la prima volta. La ricordavo bene. Il corpo intorpidito dal dolore della morte, il petto più leggero a causa dell'assenza dell'anima, la consapevolezza di aver perduto ogni singola cosa e di essere divenuto niente. La mia mente ancora tornava a percorrere i primi giorni nel regno dei morti, quando la mia testa rifiutava ci accettare la morte e le creature al mio fianco si manifestavano ai miei occhi con irruenza. Non ero capace di distinguere un normale Shen da un Wendigo o da un'entità ribelle. Il mio spirito si fidava di tutti allo stesso modo, ingenuamente, finché non imparai a capire che se avessi voluto vivere, avrei dovuto costruire un muro impenetrabile attorno alla mia figura.

«Ti stai divertendo?» La voce di Malaky arrivò dritta alle mie orecchie e, se non fossi stato troppo annoiato a fissare imperscrutabile la valle davanti ai miei occhi, avrei sbuffato come un toro infastidito. Lo Shen si sedette al mio fianco, sulla rupe di ossa color avorio.

«A te cosa sembra?» Risposi scocciato continuando a fissare un'ombra scura dimenarsi attorno al portale dell'altro mondo. Era inutile tentare di ribellarsi o di provare a pensare soltanto di fuggire da quel luogo. Non c'era alcun modo di uscire se non essere richiamati da uno sciamano e nessuna creatura morta veniva contattata senza un valido motivo; lo avevo imparato con il passare dei secoli, dopo tentativi andati male e ferite mai del tutto guarite e che mi erano andate a costare molto care.

«Inutile restare ad attendere una loro chiamata. Se mai uno sciamano dovesse solo pensare di attirarti a sé, dovresti pensare bene a cosa ti chiederà in cambio.» Inutile dire che le parole di Malaky mi diedero da riflettere. Istintivamente chiusi gli artigli in un pugno ben stretto, lasciando che le unghie lunghe e affilate perforassero la pelle e lasciassero cadere, sulle ossa del terreno, delle piccole gocce di sangue.

«Prima che possano costringermi a fare qualcosa, la loro testa sarà davanti ai loro piedi», ringhiai mesto. Lo Shen ridacchiò, lasciando scuotere la chioma corvina. C'era qualcosa in quel demone che non mi era mai piaciuto. Malaky era ribelle, provocatore e terribilmente imprevedibile. Sembrava che alla sua morte il caos avesse deciso di sgretolarsi e lasciare che una piccola parte di sé andasse a insediarsi dentro di lui, eppure, non potevo non pensare al fatto che era solo grazie a lui, se ero riuscito a ottenere il ruolo di Demonium all'interno dell'Oltretomba.

«Siamo strumenti nelle loro mani, giocattoli utilizzati per dare sfogo alla loro noia e fare per loro i lavori sporchi. Credono di poterci vincolare con i loro poteri, ma non sanno che se solo volessimo, potremmo ucciderli in un istante.» Aveva pienamente ragione. Avremmo potuto ribellarci senza alcuno sforzo ai soprusi dei mortali, ma farlo avrebbe significato dichiarare guerra alla terra dei vivi e ciò avrebbe provocato agli Shen un danno immane: l'incapacità di varcare il terreno umano. Eppure, il desiderio di distruggere la fonte di quel malessere accrebbe così tanto che la mia rabbia divenne quasi smisurata.

«E allora perché non lo facciamo?» Chiesi quasi infastidito dalle sue parole. Odiavo sentirmi ripetere costantemente quanto fossimo forti e deboli allo stesso tempo. Avevo lottato con tutto me stesso per guadagnarmi il ruolo di Demonium all'interno del regno dei morti e udire costantemente che non fossi abbastanza forte, mi faceva ribollire il sangue nelle vene. Ero stato convocato tre volte dalla mia morte, sempre da sciamani opportunisti che avevano richiesto i miei servigi per assurdità e, ogni volta, al tentativo di ribellione, avevo pagato con la rispedizione all'Oltretomba. Ero stato richiamato per uccidere un re vecchio e grasso come un tacchino ripieno; per un piano di recupero oggetti rari da dentro una grotta così stretta da far soffrire di claustrofobia persino l'aria e per ultimo, ero stato convocato come assaggiatore per un sultano che aveva il terrore di venire avvelenato anche nella vasca da bagno. Inutile dire che mi ero rifiutato più volte di assaggiare i suoi cibi, soprattutto quando mi era stato imposto di leccare la saponetta consunta con cui si lavava, perché convinto fosse stata corrotta da un veleno cutaneo. Non bastava aver subito da vivi, dovevamo patire anche da morti. Schifosi sciamani...

Shen-L'ombra del dannatoWhere stories live. Discover now