XIV. Io ti terrò la mano (tu tienimi l'anima) - Parte 1

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          Nel vedere adesso Enrica, non saprebbe dire con esattezza di cosa si fosse infatuato in lei. Forse del suo sguardo gentile, di un caldo color nocciola, acceso da viva curiosità dietro gli occhiali rotondi. Forse dell'impacciata spontaneità che la rende un po' goffa, in contrasto col portamento impostato delle sue coetanee. Forse del suo viso grazioso, sempre increspato da un sorriso timido quando intravedeva lui dal palazzo di fronte.

O forse, semplicemente, non era di Enrica che si era invaghito, ma dell'idea di una vita normale, priva di spettri e voci, racchiusa oltre i vetri di una finestra che avrebbe sempre osservato dall'esterno. Il sentimento ritroso di chi si limita a guardare, senza agire, e che poi si ritrova travolto quando ad agire sono sempre gli altri.

Adesso, ad agire è di nuovo Enrica. A dispetto dell'apparenza mite, Ricciardi ha ormai imparato che non ha timore alcuno di prendere l'iniziativa e metterlo con le spalle al muro, letteralmente. Lo spiazza, quando fa così, anche se Enrica ha ogni diritto di sapere perché, di punto in bianco, quei loro appuntamenti alla finestra si siano interrotti.

«Signorina Colombo,» riesce a proferire, stentando un po' le parole, ma riuscendo per una volta a non far scena muta dinanzi a lei. «Buonasera.»

Lei sembra altrettanto sorpresa dalla sua reattività, tanto che appare d'un tratto spaurita. O forse, rettifica tra sé Ricciardi, è il suo aspetto a incuterle una certa dose di timore. Con quella medicazione in volto, il collo tumefatto e gli occh i pesti di chi non dorme da giorni, metterebbe paura lui ai fantasmi.

Enrica si liscia con un gesto nervoso una piega del sobrio vestito di lana a quadretti che indossa, per poi accennare un sorriso.

«Scusate, non intendevo importunarvi,» esordisce, con due sbuffi di porpora che vanno a tingerle le gote. «So che sarete più indaffarato del solito.»

«Non nego di sì, ma non mi arrecate alcun disturbo,» la rassicura lui, pur con l'urgenza di imboccare il portone che gli tira i piedi. Poi si rabbuia appena, scivolando senza volerlo nel tono più duro che assume quando interroga qualcuno: «Voi come fate a saperlo?»

Enrica esita a vuoto per un istante, come spaesata dalla domanda; poi, pare farsi forza:

«In realtà, lo immaginavo soltanto...» fa una pausa e lancia un'occhiata attorno a sé, su e giù lungo la via poco frequentata. «I miei genitori e Manfred si sono molto allarmati, per quanto accaduto ieri l'altro sotto casa vostra. E anche io.»

Ricciardi tace, irrigidendosi appena. Ricorda, d'un tratto, la figura di Enrica che, quella notte, sbirciava dalla finestra sul tumulto in strada. Ricorda anche che, in quel frangente, non era stato particolarmente accorto a come si relazionava con Bruno, e si chiede se non abbia visto qualcosa di troppo, nel viavai notturno del medico entro e fuori casa sua.

Non gli piace dove sta andando a parare il discorso e, forse, avrebbe preferito un altro tipo di confronto legato a questioni più frivole. Non gli sfugge comunque la menzione di Manfred, che presume sia l'ufficiale tedesco con cui si sta frequentando e che, gli pare d'aver intuito dal suo andirivieni nella casa di fronte, sembra intenzionato a chiederla in sposa.

Gli sembra anche un messaggio d'intenti più che chiaro sulla natura di quella loro conversazione. O, magari, vuole solo vedere come reagirà lui. Non lo sa e, in tutta franchezza, non gli importa particolarmente scoprirlo.

Enrica ha libertà di frequentare chi vuole e come meglio crede, a prescindere da qualunque irrisolto possa essere rimasto tra loro, tanto più che il proprio interesse, al momento, è rivolto a tutt'altra persona. Anzi, è ben felice che abbia trovato qualcuno che, al contrario di lui, può donarle la gioia di una famiglia e una vita normale e priva d'inganni, che siano esse reticenze sui suoi spettri o sul tipo di compagnia che preferisce.

La Ruota degli AngeliWhere stories live. Discover now