𖦹 𝐂𝐀𝐍𝐓𝐎 𝐈𝐈𝐈.

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⚠️CE GIÀ IL TW NELLA DESCRIZIONE MA PER SICUREZZA, IN QUESTO CAPITOLO SI TRATTERÀ IN UNA PARTE L'AUTOLESIONISMO.⚠️

Era in quella fredda stanza bianca, ora completamente da solo, sospirò di sollievo e nel tombale silenzio, guardando fuori dalla finestra, unico punto non bianco che poteva guardare, prese a pensare a quei pochi ricordi precedenti al suo risveglio in quella stanza.

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era chiuso nella sua stanza Minho, dopo l'ennesimo litigio, dopo l'ennesima sgridata, l'ennesima passata di colpi, e non piangeva, il suo corpo non produceva più quel liquido leggermente salato che fuoriesce dagli occhi.
non riusciva a piangere, era diventato insensibile, ai colpi e alle parole dei genitori, nulla gli faceva più effetto ormai.

Non provava più dolore, sia fisico che mentale, non ci faceva caso data l'abitudine a ritrovarsi mille lividi violacei a costellare la sua pelle candida.
provava piacere nel farsi del male da solo però, gli faceva provare soddisfazione e sul momento era come se si sentisse realizzato, come se stesse facendo la cosa giusta.
Aveva iniziato a farlo quando ancora le parole dei genitori gli facevano male, e riuscivano a scaturire in lui quella sofferenza mentale che ti opprime e ti fa sentire sbagliato, che ti toglie la motivazione di fare qualsiasi cosa, che ti costringe a voler'sparire.

in quel momento però non c'era nulla di tutto quello, Minho era seduto sul suo letto con le gambe leggermente divaricate, aveva un taglierino in mano e lentamente si disegnava tante, troppe, linee sul braccio, erano profonde, ma non tanto da ucciderlo, e ricalcava più e più volte le vecchie cicatrici, ormai non lo faceva per dolore, lo faceva per piacere, per il piacere che la vista del sangue caldo fuoriuscire dalla sua carne gli provocava.

tante goccioline di sangue cadevano a costellare il lenzuolo bianco del letto sfatto dove il moro era seduto in quel momento, andando a macchiarlo.

Minho in quel momento stava provando piacere, ma la scena vista da fuori era tutto tranne che piacevole.
Era macabra.

Un ragazzino di tredici anni, che a quell' età dovrebbe essere felice e spensierato, a tagliarsi, immerso in quelle macchie rosse con la lama affondata nel braccio colante di sangue, ed in tutto quel orrore lui aveva il sorriso in viso.

Fece cadere il taglierino non appena sentì la porta aprirsi, era talmente concentrato sul realizzare quelle tele di Fontana sulle sue braccia che non si era accorto dei passi pesanti che si avvicinavano alla sua stanza.
Il padre del moro, che a dirla tutta era quasi la sua fotocopia, solo più "grosso" fisicamente, alla vista di quella scena sì infastidì e quella sensazione di fastidio si trasformò subito nella sua solita rabbia, lo prese con forza tirandolo dal braccio, sporcandosi completamente il palmo con il sangue del figlio che alla forza del padre non si opponeva, era un burattino, e da tale si lasciò modellare a piacimento dell uomo che doveva chiamare padre.

«Ma che cazzo stai facendo?! Noi ti diamo tutto ci facciamo in quattro per te, e questo? è questo il tuo ringraziamento?!»

lo buttò sul letto di peso, con il petto sul materasso, e da bravo burattino non si ribellò a nulla di tutto ciò, lasciandosi scoprire dal tessuto della maglietta restando con la schiena scoperta, piena di brividi per via dell' aria fredda che ora non era limitata da quel tessuto.

Si lasciò scoprire lasciando che suo padre vedesse il suo corpo pieno di lividi, restò con la schiena scoperta, impotente, sotto lo sguardo del padre, non gli importava però, e mentre il padre ai slacciava il cinto, movimento del quale il tredicenne si accorse solo dal rumore, stando di spalle, l'unica cosa che fece fu anticipare la sensazione di bruciore che gli schiocchi del cinto lasciavano, tenendo bene a mente cio che aveva privato tutte le altre volte in quella situazione, quandl ancora non aveva perso la sensibilità del dolore.

«Sei un egoista, un ingrato Minho!»

Stette in silenzio minho, non reagì, non stava neanche ascoltando le sue parole, non gli importava, sapeva già cosa gli avrebbe detto, insulti, come sempe.

in men che non si dica senti il primo colpo, il secondo, il terzo, ma non gli diede la soddisfazione Minho, stette in silenzio come se il cinto che colpiva la sua pelle lasciando quei segni rossi non gli facesse nessun effetto, ed un po' era vero, il moro stava man mana diventando insensibile a quel dolore, non lo provava fisicamente, aveva solo ricordi di quest' ultimo e del bruciore ben vividi nella sua mente, strinse il lenzuolo con forza tra le sue dita, e si stava leggermente incollando al suo braccio con quelle ferite ancora aperte.

Molló la presa senza accorgersene, solo perche era stato nuovamente sollevato di peso, sentì la maglia di cadere sulla sua schiena scoperta fino a quel minuto, mentre il padre lo trascinava per casa.

«Se ti devi comportare corsi allora vattene di casa, trovati un altro posto, brutto ingrato»

non ricordava neanche l'ultima volta in cui aveva parlato con i genitori, faceva sempre scena muta per qualsiasi cosa, qualsiasi argomento, ormai apriva bocca solo quando era fuori casa saltando scuola, però in quel momento voleva rispondere, voleva farlo ma non fece in tempo, il padre aveva aperto la porta e lo aveva spinto giù dalle scale, senti solo un altra frase prima di svenire.

"Vediamo se rimani fuori se ti penti di essere cosi ingrato"

Poi non vide più nulla, sentì un brusio prima di vedere completamente nero, e svegliarsi in quella stanza d'ospedale, immerso nel bianco.

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Tornò al presente quando si accorse della dottoressa che entrata nella danza dopo qualche minuto, forse 20, ma il tredicenne non si era reso conto del passare del tempo.

Era rimasto a fissare il vuoto immerso nel silenzio, lo faceva spesso Minho, non gli piaceva pensare ma senza farlo apposta finiva sempre nel suo piccolo o enorme mondo macabro.

«oggi hai fame Minho? mangerai? devi farlo per riprenderti»

gli stava porgendo un vassoio pieno di quei cibi insipidi e poco invitanti degli ospedali, senza dire nulla prese solo lo yogurt da quest'ultimo, per fare contenta la donna li presente e poter stare nuovamente da solo, in realtà non voleva riprendersi, non voleva tornare a casa non gli andava proprio l'idea.

«Hai mandato via quel ragazzo, Perche?»

Stave mangiando lo yogurt, e forse era la prima volta che davvero mangiava qualcosa, senza fare finta.
Non la guardo neanche, sperava avrebbe capito che non gli andava di parlare ma per sfortuna del moro non fu così.

«Non hai ricevuto visite da quando sei qui, è stato il primo a venie, lo hai fatto andere via in lacrime..»

Minho portò lo sguardo sulla donna, fissandola visibilmente infastidito.

«Non so chi sia, non lo ricordo, non voglio neanche saperlo chi è, non mi importa»

Lo guardò dispiaciuta e Minho se ne accorse, non aveva mai ricevuto uno sguardo di quel tipo de parte di qualcuno.

«Puo lasciarmi mangiare? mi infastidisce farlo con gli altri..»

cerco di essere cortese almeno con quella donna che, anche se probabilmente solo per lavoro, lo stava essendo con lui.
La dottoressa annuì e uscì in silenzio dalla stanza sotto lo sguardo del tredicenne nel lettino scomodo del ospedale, finì molto lentamente quella sostanza cremosa al gusto di fragola per poi lasciare la confezione mettendosi comodo per come potesse in quel letto, a fissare il soffitto e addormentarsi, stanchissimo, poco dopo.

Passarono giorni prima che venisse dimesso da quel ospedale, anche se una volta uscito non aveva recuperato comunque i suoi ricordi, aveva solo quelli d'odio verso i genitori, troppo forti e presenti per poter essere dimenticati, e con la compagnia di essi tornò nel inferno che erano le mura della sua abitazione in compagnia della madre nella sua auto.

🍰SPAZIO AUTRICE!!🍰

potrebbero esserci tanti errori, per ora lo pubblico solo per non scordarmi di farlo, poi lo ri leggerò e correggerò eventuali errori, se c'è ne sono e me li fate notare vi ringrazio 💜

𝕀𝐭 𝐝𝐨𝐞𝐬𝐧'𝐭 𝐦𝐚𝐤𝐞 𝕤 𝕖 𝕟 𝕤 𝕖 【 MINLIX. 】Место, где живут истории. Откройте их для себя