Sogna, ragazzo, sogna [extra]

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[piccolo avvertimento: il capitolo è un po' triste e parla molto di morte, se non ve la sentite non forzatevi a leggere <3]

Manuel ha indossato un completo elegante per un totale di tre volte nella vita: due momenti di festa e un momento di lutto; due matrimoni e un funerale.

Si domanda, guardandosi allo specchio, se facciano lo stesso effetto oppure no, la giacca e cravatta, vestite in circostanze così antitetiche: due celebrazioni di un nuovo inizio, una di una fine.

No, Manuel pensa davvero di dare un'immagine diversa nel riflesso, in quella mattina uggiosa, grigia e triste come il suo umore.

È il ciclo della vita, questo lo sa: prima o poi, tutti siamo destinati a finire così come siamo iniziati. E non c'è nulla di cattivo in ciò, se il tempo che ci è stato offerto l'abbiamo goduto, assaporato, vissuto al cento per cento. Questo però non impedisce chi resta di starci male, perché sono loro ad sentirsi spaesati e abbandonati.

È irrazionale ciò che si prova quando una persona cara se ne va. Crea un buco, un vuoto, una voragine che non ti spieghi e non sai colmare. Certi momenti che vivevi sempre e solo con lei ora li devi vivere da solo, o con qualcun altro, ma lo sai che non sarà mai la stessa cosa.

Nessuno è indispensabile a questo mondo, ma al contempo nessuno è sostituibile: ciascuno ha quel barlume di unicità che lo fa brillare in modo diverso rispetto agli altri e che lo contraddistingue, che lo rende una stella diversa rispetto all'altra miriade incastonata nel firmamento. Ecco, quando una stella si spegne lascia solo buio, un'oscurità triste e vuota, che potrà essere sempre colmata ma mai come prima, perché gli incastri tra le persone sono unici e irripetibili.

Prima o poi il suo momento sarebbe giunto, questo nonna Virginia lo sapeva. A un certo punto l'ha intuito e quindi ha raccolto a sé tutti i suoi cari, che hanno vegliato su di lei giorno e notte finché s'è spenta. Fino all'ultimo istante, con l'ultimo alito di vita, ha parlato e rassicurato chi le stava intorno, dicendo di non dispiacersi per lei, ché la vita se l'era goduta, e di imitarla per quanto possibile, non lasciandosi sfuggire più alcuna occasione.

Manuel e Simone hanno preso in parola quel monito, sin da quel giorno di inizio maggio, quando si sono ritrovati e non si sono più, più lasciati. Simone non è nemmeno mai tornato a Milano: si è fatto spedire tutta la roba da Davide, che gliel'ha recapitata inscatolata tutta alla rinfusa, e ha dato le dimissioni al lavoro; così, si è ritrovato apolide e disoccupato, anche se in cuor suo non si è mai sentito così a casa e impegnato. Ha dato anima e corpo per ricostruire dalle ceneri una relazione con Manuel e, dopo un po' di stenti, alla fine c'è riuscito; anzi, ci sono riusciti.

Hanno recuperato tutto il tempo perduto, in una corsa a perdifiato per bruciare tutte le tappe che solitamente si conquistano lentamente (ma loro non sono mai stati lenti, se è della loro relazione che si parla): hanno convissuto nel piccolo appartamento di Manuel fin dal giorno zero, si sono sposati dopo due anni e hanno adottato una splendida bambina dopo sei. Ora di anni ne sono passati dieci, purtroppo per loro hanno appena varcato la soglia della quarantina, e non si sono mai sentiti più uniti di così.

«Manu?», una voce s'ode dal soggiorno del nuovo appartamento, molto più spazioso, dove si sono trasferiti da quando sono diventati tre.

«Simo, arrivo», comunica Manuel laconico, rigido. Si sistema un po' la giacca e la cravatta, dandosi un'ultima occhiata allo specchio, e raggiunge suo marito che lo sta già aspettando sull'uscio. «Eccomi».

«Laura è passata a prendere la bambina, la tiene con sé per tutto il giorno e poi ce la riporta quando abbiamo finito», gli comunica Simone, mentre insieme scendono la tromba delle scale, diretti in macchina - addio moto, da quando sono in tre.

CompletamenteWhere stories live. Discover now