XII. Una vendetta, una speranza (o forse solo un po' d'amore) - Parte 3

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«Non ti senti sicura nemmeno in casa tua?»

Livia si volta verso di lui, un cipiglio insolitamente cupo a scurirle i lineamenti decisi.

«Non mi sento sicura soprattutto in casa mia,» puntualizza, scrutando il perimetro della stanza come a controllare che non vi sia nessuno nascosto negli angoli. «Temo il come sia venuto a sapere di te, visto che non ne ho fatto parola con nessuno.»

«Gli hai chiesto di rilasciare Modo come favore personale per me, quando l'hanno arrestato,» le ricorda Ricciardi, prima che possa anche solo pensare di sentirsi in colpa. «Anche all'epoca, volendo, Falco avrebbe avuto gli estremi per accusarmi, se non altro per faziosità. Se l'ha fatto adesso, è solo perché noi siamo stati due imprudenti e perché il caso è troppo scottante per lasciarmi agire liberamente. Immagino fosse il momento favorevole per sfruttare la cosa.»

Livia non sembra del tutto convinta, ma non ribatte. Si siede sull'ottomana davanti al basso tavolino da tè, invitandolo con un cenno del capo a fare lo stesso.

Ricciardi esegue, pur addossandosi al bracciolo così da mantenere distanza con lei, in un modo forse troppo manifesto che Livia sembra notare, visto come strizza appena le labbra. Lui camuffa il gesto da screanzato risistemandosi sulla seduta e accostandosi a lei di qualche centimetro; si sente comunque come se la stesse ingannando, anche se non ne ha alcun motivo.

«Perché sei qui?» gli chiede Livia, senza ulteriori preamboli; né Ricciardi pensa di farne:

«Perché sei l'unica persona che sia in contatto con Falco.»

«Io non sono in contatto con nessuno,» replica, in tono duro. «Semmai, è lui che si presenta quando più gli aggrada. Non posso certo convocarlo a piacimento.»

«Questo lo immaginavo,» dice Ricciardi, stringendosi le dita nervose su una gamba, «ma hai comunque più opportunità di me. Io non saprei nemmeno dove cercarlo, né ne ho il tempo, adesso. È più probabile che lui trovi me e dubito che la nostra conversazione avrebbe esiti diversi da questo,» accenna al proprio volto malridotto, scuotendo appena il capo. Esita, incerto se dirlo o meno, per poi risolversi: «Oltre al fatto che se la prenderebbero anche con Bruno, e non con un semplice arresto.»

«Tutto per un caso di omicidio?» Livia lo scruta con quel suo modo di fare particolarmente intenso, che sembra scavargli dentro. «So da me che fosse "delicato", ma mi sembra assurdo. Cos'altro hai fatto, per metterteli contro in questo modo?»

«Non posso dirtelo nel dett-»

«Non puoi pretendere di presentarti in casa mia, chiedermi aiuto per te stesso e qualcun altro, di nuovo, e non spiegarmi nemmeno di cosa si tratta. Soprattutto, non nella tua posizione.»

Lo sguardo di Livia si fa torvo, affilato. Ricciardi è convinto di sentirne il peso addosso, intenso nella rabbia così come lo è nell'affetto che immeritatamente gli riserva ancora. Livia non prova né esterna mai sentimenti a mezzo: sono sempre totalizzanti, così vigorosi da essere impossibili da ignorare nei suoi occhi scuri, grandi, ma mai abbastanza da contenerli del tutto.

Ricciardi scivola in avanti col busto, puntellando i gomiti sulle ginocchia e ingollando un respiro troncato. Con la coda dell'occhio, vede Livia che, implacabile, attende una sua risposta.

«Sto indagando sul colonnello Gigliolo e quello che è emerso sarebbe un incubo scandalistico per il Partito,» dice, dosando una a una le parole; Livia freme, a quella spiegazione insoddisfacente, così si affretta a continuare: «Aveva frequentazioni non meglio chiarite alla Real Casa dell'Annunziata. All'orfanotrofio, con i bambini,» specifica, spostando gli occhi di lato a osservare la reazione della donna.

La Ruota degli AngeliWhere stories live. Discover now