Prologo

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Prologo

«Per prima cosa sottoporremo il suo fidanzato ai controlli medici di routine che ci permetteranno di avere un'approvazione scritta per l'inizio del trattamento. Se il paziente presenterà condizioni di salute non del tutto ottimali, verrà elaborato per lui un trattamento alternativo con un medico personalizzato».

Delia annuì incrociando le gambe sotto la grande sedia di legno sopra la quale era seduta. Dio solo poteva sapere quante volte aveva ascoltato quei discorsi negli ultimi tre anni. I dottori la facevano accomodare, le sorridevano accondiscendenti e iniziavano a spiegarle passo passo il programma al quale Elija avrebbe preso parte.

C'era il punto uno: i controlli medici per accertarsi se e quanto gli stupefacenti avessero danneggiato il suo corpo. Se i reni, il cuore, la pressione e la conta dei globuli rossi fossero risultati nella norma, sarebbe stato subito pronto a prendere parte al programma standard, altrimenti la preparazione di uno ad hoc per lui, avrebbe allungato i tempi di almeno qualche giorno. Su questo Delia si sentiva abbastanza tranquilla. Fortunatamente la salute di Elija si era rivelata sempre piuttosto buona, nonostante tutto.

Poi c'era il punto due, che consisteva nel fare altri test, esaminare i punti del programma stilato durante il punto uno e convincere il paziente che la dipendenza poteva essere sconfitta sì, ma solo ed esclusivamente se la scala della guarigione veniva percorsa insieme, senza mai mollare. Su questo lei era sempre stata scettica; esaminare il programma punto per punto era la parte semplice, convincersi che un drogato parlasse sul serio quando sosteneva che avrebbe salito quei gradini immaginari insieme al medico, senza mai mollare, era la parte dura. Non aveva mai capito come potessero prendere sul serio le parole di un uomo che si era fatto di cocaina per anni, soprattutto durante il primo colloquio e con un principio di crisi d'astinenza, per giunta.

Ma supponeva che provare a fidarsi facesse parte di quell'immenso meccanismo che era la guerra alla tossicodipendenza. Probabilmente nessuno l'avrebbe biasimata se avesse confessato di non credere più nemmeno a una sola parola di quelle che uscivano dalla bocca di Elija. Non dopo cinque tentativi falliti di uscire da quello stramaledetto tunnel.

«La fase tre, che è il vero e proprio inizio del processo di disintossicazione, consiste...»

«Nello svolgimento di un'adeguata attività fisica, per aiutare il corpo a liberarsi delle tossine e quindi dei residui degli stupefacenti. Ho sbagliato qualcosa, dottore?» lo interruppe Delia.

«No signora Bloom, ha detto tutto correttamente».

Delia sorrise amaramente alzandosi dalla sedia. «Già, lo immaginavo. Sa, dopo cinque tentativi falliti i problemi persistono, ma almeno ho imparato a memoria le espressioni che voi medici usate in queste circostanze» spiegò. «Ho sempre affrontato queste situazioni con tutto l'ottimismo di cui sono capace e mi creda, dottor Calvin, io sono una persona molto ottimista, ma questa è la sesta volta e credo che non avrei la forza di affrontarne una settima. Credo che nemmeno lui la avrebbe. Quindi, la imploro... lo aiuti».

Il dottore si alzò a sua volta, lo sguardo distaccato con cui l'aveva guardata per tutta la durata del colloquio si trasformò in uno sguardo carico di compassione. Non proprio il tipo di sentimenti che servivano a Elija, ma era comprensibile; in fondo lui poteva semplicemente fare del suo meglio. Chi sosteneva che una persona deve aiutarsi da sé prima di poter ricevere aiuto dagli altri aveva ragione, e lei non era certa che Elija fosse capace di aiutare se stesso.

«Faremo del nostro meglio per prenderci cura del suo fidanzato».

«Grazie» rispose lei tendendo la mano per stringere quella del dottore. «Quando potrò venire a trovarlo?».

«Questa è una clinica privata, quindi può venire a trovarlo anche domani stesso, ma professionalmente credo sia meglio limitare i rapporti a semplici telefonate di mezz'ora al massimo, per almeno le prime due settimane.»

«Va bene. La ringrazio, dottore. Arrivederci».

Delia uscì dall'ufficio del dottor Calvin sistemandosi la borsa sulla spalla e percorse il lungo corridoio cercando di camminare il più veloce possibile. Le porte di alcune stanze erano socchiuse e poté sentire le imprecazioni dei pazienti risuonare lungo tutto il corridoio bianco e puzzolente di disinfettante. Non aveva mai capito perché gli ospedali avessero tutti quello stesso assurdo odore che faceva venire mal di testa, ma non era poi così importante saperlo. Girò a sinistra e sobbalzò fermandosi di colpo davanti a Elija. Aveva appena finito le visite di routine e due infermieri lo stavano accompagnando nella sua camera. Aveva sperato di non incrociarlo mentre se ne andava, ma ancora una volta le sue speranze erano crollate.

«Delia, dove vai?» le chiese avvicinandosi. La sua voce tradiva paura.

«Vado al lavoro».

«Oggi è venerdì, tu non lavori mai il venerdì».

«Oggi è mercoledì, Elija, e comunque sto facendo degli extra. Ci vediamo presto, okay?». Le lacrime le pungevano gli occhi e i singhiozzi erano pronti a esplodere in tutta la loro disperazione. Forse aveva sbagliato a parlare degli extra al lavoro, lui le avrebbe chiesto perché e davanti al suo silenzio avrebbe ricominciato con quella dannata fissazione degli ultimi tempi, da quando si era convinto che lo tradisse con il suo capo. Cercò di allontanarsi senza apparire troppo tesa, ma lui la afferrò per un braccio costringendola a fermarsi e voltarsi.

«Stai andando da lui, vero?» le domandò furioso, come lei aveva previsto.

«Elija, non esiste nessun lui».

«Sì invece. Quel pallone gonfiato, quel bastardo del tuo capo. Ha sempre avuto un debole per te. Te lo scopi, vero? Da quanto?».

Quegli occhi azzurri che lei tanto amava erano iniettati di sangue e rabbia. Le occhiaie viola e il viso scavato gli davano un'espressione stanca e spaventosa allo stesso tempo. Le prese il viso tra due dita e strinse forte. Gli infermieri balzarono in avanti per soccorrerla, ma Delia li fermò alzando una mano. Poteva gestire quella situazione, l'aveva già fatto altre volte.

«Elija, mi stai facendo male. Lasciami andare» gli disse, ferma nella presa. Agitarsi l'avrebbe semplicemente fatto arrabbiare di più.

«Delia. Se scopro che te lo scopi davvero io lo ammazzo mi hai capito? Vi ammazzo entrambi» urlò lui stringendo più forte. «Tu appartieni a me, sei solo mia!»

La donna tirò indietro la testa liberandosi dalla presa, si toccò le guance indolenzite, ma era più forte il dolore che sentiva in fondo al cuore. «Ti prego, lasciati aiutare» gli sussurrò prima di allontanarsi.

«Delia!» urlò l'uomo guardandola andare via. «Delia!» gridò ancora, questa volta con la voce incrinata dal pianto.

Ma lei non si voltò, nonostante ogni fibra del suo essere volesse farlo. Uscì dalla clinica e salì in auto. Soltanto quando fu lontana si lasciò andare a un pianto disperato e amaro. Pregò Dio che Elija si lasciasse aiutare, pregò che quell'incubo finisse una volta per tutte.


L'amore sospesoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora