XI. Apriti cielo (e manda un po' di sole) - Parte 1

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C'è un pensiero attorno al quale ha continuato a marciare a distanza di sicurezza e che, adesso, irrompe nel suo cervello con una falcata netta: la menzione indiretta di Livia da parte di Falco. 

L'uomo la sorveglia, è il suo osservatore nell'ombra. Per motivi, immagina, legati all'amicizia della donna con Edda Mussolini, che ne fa una pedina sensibile nella scacchiera fascista; ma forse c'è altro, dietro, motivazioni più personali. Falco pare anche essere a conoscenza dell'infatuazione della donna per lui, e ciò gli provoca un moto d'angoscia improvviso: è una possibile arma, quella, un'arma subdola che può essere ritorta contro entrambi a piacimento. Non lo riterrebbe al di sotto della moralità di Falco, se mai ne abbia una.

Sulla correttezza di Livia, invece, non nutre alcun dubbio: non l'avrebbe mai esposto, nemmeno involontariamente. E, benché non la ami come lei vorrebbe, non significa che sia disposto a metterla in pericolo in qualsivoglia modo. L'impulso di recarsi a Villa Pignatelli lo morde repentino, irrazionale. Si chiede se Falco abbia fatto parola con lei dei sospetti infamanti che vogliono gettargli addosso; se, magari, non sia riuscito nell'intento di dipingerlo come un uomo perverso ai suoi occhi, ancor più meritevole di disprezzo.

Porta una mano a stringersi la radice del naso, soverchiato da tutto ciò che pare ruotare attorno a lui in quel momento, ancor più a stretto giro dei fantasmi che lo tormentano.

Asseconda il moto di spossatezza che gli assale le gambe e, dopo qualche istante d'esitazione, va a sedersi sull'ultimo gradino della scalinata dell'Annunziata. Intreccia le mani a coprirsi il volto, creando una zona d'ombra, coi pollici che premono sulle tempie. Il riverbero grigiastro riflesso dalle nubi si attenua sotto quel pergolato di dita, allentando anche la morsa dell'emicrania che, ormai da tre giorni, lo tartassa senza dargli respiro, fomentata dal digiuno e dall'insonnia.

In sottofondo, il chiacchiericcio e i richiami vivaci del gruppo di ragazzini che gioca rallegra quella giornata tetra. In un'altra circostanza, l'avrebbe fatto sorridere; adesso si sente sporco solo a pensare di farlo, così come si è sentito nel parlare con Cristiano.

Si chiede se anche quell'incontro fortuito non possa giocare in suo sfavore. D'altronde, però, se l'OVRA vuole accusarlo di pedofilia, non ha certo bisogno di prove concrete: basterebbe loro un solo schiocco di dita e un certificato medico falso per rinchiuderlo e gettare la chiave. È già successo a persone molto più in vista di lui.

Gli si rivolta lo stomaco, anche quello in subbuglio da giorni. L'hanno avvelenato, gli hanno messo in testa preoccupazioni che non l'hanno mai sfiorato in vita sua; lui che i bambini li ha sempre trattati con assai più rispetto di molti altri adulti.

Certo, rimpiange di non poterne avere di propri, per non rischiare di condannarli alla sua stessa maledizione; ma forse ad occhi altrui è un crimine pure quello, così come è un crimine non sposarsi e non avere il giusto interesse per le donne.

Bruno gliel'ha detto, una volta, di accasarsi per vivere tranquillo. Con Livia vi sarebbe almeno una trasparenza d'intenti, oltre che un interesse reciproco, al di là del sentimentale.

Però, il pensiero di ingannare qualcuno a quel modo ignobile, magari Enrica, usandola come mera copertura e non potendo nemmeno prometterle la gioia di un figlio, gli fa sembrare quasi più auspicabile la morte.

La morte, adesso, gli sembra di certo più auspicabile che immaginarsi con una camicia di forza addosso, o di veder Bruno arrestato e fucilato.

Immette un respiro lento nei polmoni, ingollando aria fredda e strappandosi da quelle ennesime elucubrazioni malsane. Non è di se stesso che deve preoccuparsi e, per quanto lo asfissi il pensiero, nemmeno di Bruno. Gliel'ha giurato: ciò che conta è il caso, Annina, la sua richiesta d'aiuto.

La Ruota degli AngeliWhere stories live. Discover now