ALCHIMISTA

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Esco dall'ostello e mi fermo a osservare lo scenario, in direzione ovest. Il cancello principale della città è un arco perfetto di roccia madre, sollevato spontaneamente dal cuore della terra senza un singolo macchinario o colpo di scalpello. 

Basta uno sguardo per capire come mai questo posto è divenuto così famigerato dal duemila in poi: per i visitatori stranieri, è una meraviglia inconcepibile, al di là della nostra comprensione. Per i Novarcadiani, è stato un lavoretto veloce del martedì sera.

Sono davvero contento che Quetzal avesse ragione riguardo le mie condizioni. Appena si sono fatte le tre e mezza, le mie dita hanno ricominciato a muoversi normalmente, seguite poi dal resto delle braccia e delle gambe. Una volta in piedi ho anche provato a rimettere mano alla spada e tirare un paio di fendenti a vuoto, ma... Niente. Ho fatto il passo più lungo della gamba.

Ci vorrà ancora un bel po' di tempo prima che io possa brandire di nuovo la mia lama. Per ora ho un incarico da portare a termine, con o senza armi. Mi volto verso est e incomincio a procedere lungo la strada principale.


Il tragitto si rivela essere una lunga salita in linea retta, resa ancora più tediosa dal fatto che ho le gambe ancora indolenzite e devo portarmi dietro la spada e lo zaino con i miei bagagli.  

Ho preso solo l'indispensabile: un cambio di vestiti, due pietre per affilare, un sacco-letto a tenuta termica, il mio portafoglio quasi vuoto e uno di quegli strani cilindri di acciaio blindati, che i cittadini del posto usano per trasportare le proprie stelle.

Usanza strana, ma sensata. Se le mie monete fossero delle perline fragili, pesantissime e impossibili da falsificare, anch'io le conserverei con un grado di sicurezza ridicolmente alto. Anche a costo di caricarmi un bariletto di venti chili sulla schiena.

Non posso dire di aver fatto scelte migliori, visto che ho completamente ignorato medicinali e mezzi di primo soccorso quando ho fatto i bagagli. In un certo senso, sapevo che non mi sarebbero serviti a niente.

Il che è, ovviamente, per niente professionale. Che razza di idiota arruolerebbe un mercenario che non sa neanche medicarsi da solo?

Uno disperato, non c'è dubbio.

Ma non sono qui per prendermela con la gente, sono qui per lavorare. Per fortuna che l'entrata per la cittadella è solo a qualche minuto di distanza. Da qui riesco già a vedere l'enorme entrata circolare, scavata nelle falde della montagna.

C'è un viavai di persone che entrano ed escono dalla parte più interna della città, affollando la strada e portandosi dietro ogni sorta di vocio, verso o stranezza.

Due imbianchini scendono verso i quartieri cittadini portandosi dietro un barile di vernice impossibilmente grande; dietro a loro bazzicano degli ubriaconi vestiti di tonache dall'aspetto eccessivamente rigido, come plastica dura; dall'altro lato della strada si fa avanti una mandria di orsi-toro, cavalcati da delle figure con mantello e bandana; una lunga fila indiana di bambini dalla testa di ratto seguono i loro genitori, anche loro simili a roditori, con tanto di pelliccia grigiastra, coda spelacchiata e tanfo da fossa comune; avvicinandomi di più all'entrata, due ragazze in gonna e grembiule si rincorrono a vicenda da un tetto all'altro delle ville  extra lusso immediatamente fuori la Cittadella.

Vivere qui, ogni giorno, tutto il giorno, assistere quotidianamente a eventi così imprevedibili e surreali... dev'essere un gran mal di testa. Per fortuna che sono arrivato qui soltanto tre giorni fa.

"Signor Mongrel! Finalmente ci rivediamo!"

La donna piumata mi avvista da lontano, per poi venirmi incontro con la sua solita andatura tranquilla ed elegante. È la sua vera natura quella che mostra, oppure soltanto una messinscena?

Mongrel - Lezioni Di Vita Per Gli Stolti E Gli InutiliDonde viven las historias. Descúbrelo ahora