X. Ci vuole coraggio (anche per aver paura) - Parte 3

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«Che ne sai tu, di Annina?» chiede poi, abbassando la voce.

Cristiano coglie l'invito e la abbassa a sua volta, parlando in tono un po' cospiratore e con la mano a coppa a coprire il labiale:

«Come, che ne so? La conoscevo. Ci conosciamo tutti, qua attorno all'Annunziata, sia chi ci sta, sia quelli che se ne vanno, sia quelli che vogliono entrarci. Io non tengo genio di entrarci, però c'è chi prova a infilarsi nella Ruota, pure se è da un pezzo che è chiusa. Che fessi!»

Ricciardi alza un palmo a frenare la divagazione, riportando il discorso sul punto focale.

«Dimmi di Annina. Viveva pure lei al brefotrofio?»

Cristiano storce la bocca, le sopracciglia aggrottate in modo quasi comico.

«Al che?»

«All'orfanotrofio, con le suore.»

«Ah! Sì, commissa'. Ce l'avevano affidata che manco camminava; così diceva lei, ma mica se lo ricordava. Glielo dicevano le suore.»

Ricciardi annuisce tra sé, stringendo i pugni nelle tasche: lo sapeva, che Annina c'entrava con l'Annunziata; sapeva che Madre Filippa gli aveva mentito.

«E come mai era uscita? Non era ancora maggiorenne.»

«Se n'è andata, però ci tornava, da queste parti. Era strano.»

Ricciardi sospira tra sé, e concorda sulla stranezza. Sta avendo qualche difficoltà a seguire il filo del discorso, tra Cristiano che molleggia irrequieto sui talloni e la rivelazione, non poi tanto improbabile, che le cose non funzionino in modo così impeccabile come sosteneva Madre Filippa, se c'è una torma di bambini di strada a zonzo per il quartiere, forse usciti proprio dall'orfanotrofio.

«Se n'era andata dove? L'avevano adottata?»

«Macché, commissa'!» Fa un ampio gesto con la mano aperta verso di lui, come a dargli dell'ingenuo. «Macché, è andata a fatica'. Stava benissimo, teneva pure il nome sui vestiti, come ai ricchi! Scommetto pure voi, tenete proprio la faccia da ricco.»

Ricciardi nasconde un sorriso a quell'impertinenza così veritiera, ben conscio delle proprie iniziali ricamate sul polsino della camicia. Mantiene però un'apparenza seria, grave, sapendo di non risultare comunque troppo intimidatorio.

«E dimmi, sai pure da chi è andata a lavorare?»

«Boh, un po' qui, un po' là,» fa spallucce lui, ruotando il busto a destra e a sinistra a tempo. «Non stava fissa da una parte. Era un po' strano, vi dico. Di solito, se entri in una casa poi ci resti, perché se esci mica ti ci riprendono, qua all'Annunziata. Però lei se l'era presa in simpatia 'o Munaciello e quindi faceva un po' come le pareva.»

Ricciardi aguzza lo sguardo, mancando un battito. Fissa gli occhi furbi ma limpidi di Cristiano.

«Il Munaciello? Quello che gira sottoterra?»

Il bambino lo fissa come si fissa il somaro della classe a scuola, e Ricciardi capisce che prenderla alla larga non è stata la scelta più furba.

«Ma mica la favola, commissa'! 'O vrero Munaciello, chillo cà trova 'o travaje a' figl' 'ra Maronn,» s'infervora scivolando di nuovo nella sua parlata stretta, e accenna col mento all'austera struttura oltre l'arco.

«Cristiano, vai con ordine. Com'è fatto, questo Munaciello? E chi è?»

«Si chiama Don Nicola ed è alto, commissa', chhiù alto 'e vuje, pure si sta tutto sgarrupato.» Si ferma e pare intuire che lui non abbia colto il punto, quindi chiarisce svelto, impegnandosi a pronunciar bene le parole e scandendole con due netti movimenti della testa: «È sciancato, uno zoppo.»

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