1. Smistamento

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Alla fine poi, Amanda era finalmente riuscita a trovarla, la grande sala per lo smistamento.
Diciamo ch'era solita perdersi lei, perché di guardare le piccole cose e soffermarsi a pensare sulla storia che ci fosse dietro di esse, non era mai stanca.

Amanda Collins, era una strega e questo ormai aveva deciso di accettarlo.
Non che potesse fare altrimenti, e dunque adesso era lì, con quelle mani strette a pugni, lo sguardo chino intento a guardarsi la punta delle scarpe nere lucide, mentre il vociferare degli studenti riecheggiava nella grande stanza di quel castello che, da lì in avanti, sarebbe stata la sua casa.
Per lei, quello, sarebbe stato il primo anno di frequentazione, oltre che un cambiamento repentino alla sua vita.
Strega
La voce di sua madre che non faceva altro che ricordarle chi e cosa fosse realmente.
Forse lì, adesso, nessuno l'avrebbe guardata dall'alto in basso come erano soliti fare un po' tutti, compresi i suoi genitori del resto.
Qualcosa, all'improvviso la riportó in quella grande sala piena di gente.
I pensieri si erano finalmente messi a tacere.
"Silenzio, prego" una voce roca zittì il vociferare dei ragazzi.
Un uomo dalla lunga barba grigia, il naso aquilino e due minuscoli occhi dietro a degli occhiali sottili e affusolati, prese a tentennare un bicchiere con una forchetta di cristallo.
"Miei cari ragazzi, benvenuti. Per chi è nuovo, qui, il mio nome è Albus Percival Wulfric Brian Silente" l'uomo ridacchiò. Poi bofonchiò qualcosa tra sé e se e continuó " certo, certo, lo so bene ch'è impossibile da ricordare. Mia madre deve essersi divertita parecchio quel giorno, per scegliermi il nome. A volte li dimentico anch'io tutti! Albus Silente, chiamatemi solo Albus Silente" concluse, mentre alcuni studenti lo guardavano un po' perplessi.
Altri invece sembravano abituati a quella tiritera di Silente, forse già fatta negli anni precedenti.
"E sono il preside della scuola. Ora non sarà un vecchio brontolone come me a tenervi ancora sulle spine, dunque procediamo con lo smistamento. Prego Minerva, a te la parola".
E così una donna mingherlina dal viso affusolato si avvicinò a quello che era un leggio dove sopra vi era poggiato un cappello un po' logoro, e trasandato. Accanto al leggio, una sedia, poi Minerva parlò.
"Studenti del primo anno, dividetevi in quattro file, una volta che sentirete il vostro nome, venite avanti e accomodatevi sulla sedia. Io metterò sulle vostre teste il cappello, che deciderà in quale casa apparterrete. Vi ricordo inoltre che nel periodo in cui starete qui, la vostra casa sarà la vostra famiglia, ogni casa è importante e nessuna è migliore di un altra".

Amanda si sentiva confusa. Troppe informazioni dette in una volta. Cercava di rimanere lucida, ma la testa le stava scoppiando. Osservava le grandi tavolate dove alcuni studenti erano già seduti. Sembravano più grandi di lei.
Poi lo vide.
Il ragazzo del treno.
Era lì seduto, nel primo tavolo a destra, insieme a quelli che Amanda pensò fossero i suoi amici. Il bancone era coperto da una grande tovaglia rossa e dorata, dove vi erano posati ogni tipo di cibo esistente.
Non aveva mai visto così tanto cibo in vita sua.
Poi qualcosa le fece gelare il sangue.
Il ragazzo del treno la guardò.
Fu un secondo. Una frazione di secondo, poi lui voltò lo sguardo al trove, mentre Amanda invece si sentì morire.
Quel giovane le faceva uno strano effetto, non sapeva spiegarsi cosa con esattezza. Ma qualcosa in lei, sembrava muoversi, come uno stormo di uccelli in piena migrazione.
Forse la gentilezza che le aveva riservato, nel scenderle la valigia dal vagone? O forse perché le aveva rivolto la parola con così tanta tranquillità. Come se lei fosse normale.
Si guardarono per un secondo, ma quel secondo Amanda lo percepí come un ora intera.
Poi fu il suo turno.

"Amanda Collins?" Minerva, quella donna dal viso affusolato, la chiamò.
Toccava a lei, quello che tanto temeva, era finalmente arrivato.
Avrebbe scoperto in che casa andare.
Ma soprattutto, adesso la guardavano tutti. Amanda aveva il viso in fiamme, il capo chino... che forse avrebbe potuto scoprire l'epicentro della terra, per quanto teneva basso quel volto.
Lui la stava guardando, invece.
Non si faceva notare da nessuno, nemmeno dai suoi amici, ma la stava guardando.
"Dovresti smetterla di nasconderti, per una buona volta." sputò James Potter. Amico e compagno di casa di Remus Lupin. La faceva sembrare così semplice la situazione, lui.
Del resto James Potter era un bel ragazzo. Alto, coi capelli ricci, labbra carnose, occhi verdi e limpidi come i campi Elisi. Era perfetto in ogni sua sfaccettatura, non aveva nulla da invidiare a nessuno, ed era uno dei più popolari della sua casa: Grifondoro.
"Non è così semplice, amico." lo rimbrottò Remus.
Per lui le cose non erano mai state facili da che ne avesse memoria. Si ritrovava spesso a dover lottare anche contro se stesso, delle volte.
"Lo so, ma... ti ho visto che l'osservi. Mica sono stupido, sai?!" e Remus alzò lo sguardo, come per dire la discussione finisce qui.
Poi il cappello parlò "Serpeverde!
Amanda saltó dalla sedia, quasi come se su di essa ci fossero degli spilli.
Ci fu un applauso dal lato del tavolo argenteo e verde, mentre si dirigeva in esso per prendere posto.
"Cosa? Serpeverde?" gracchiò Sirius Black, altro amico di Remus Lupin.
"Diavolo, amico, credo che per una volta tanto il cappello parlante abbia fatto cilecca. Guardala l'hai vista? Non ha proprio il viso da Serpeverde!" finì così, il discorso, Potter.
Seguì uno sbuffo da parte di Peter Pettigrew, e una smorfia di Black, mentre invece Remus Lupin l'osservó nuovamente, senza farsi notare.
Una Serpeverde?
Quella ragazza una Serpeverde?
Per una volta si trovò in accordo con il suo amico James.
Sembrava così impaurita e insicura che provava un senso di impotenza a ritrovarsi in Grifondoro, per non poterla aiutare.
Sapeva cosa significava essere nuovo.

Una ragazza dai capelli rossi, con dei grandi brufoli e lentigginosa, si avvicinò ad Amanda.
"Ciao Novellina, io sono Mirabel Soler, vedi di ambientarti velocemente e senza fare troppi danni! gracchiò, quasi infastidita da Amanda, che ancora teneva lo sguardo basso, sul piatto in ceramica.
"Via, via Mira, più educata" un ragazzino dai capelli neri e la pelle cerea ruppe quello che ad Amanda ricordó un atto di bullismo.
"Scusa Regulus, è solo che mi sembra così... pappa molle per essere una Serpeverde" bofonchiò Mirabel Soler, azzuffando un cosciotto di tacchino.

Quando lo smistamento finì, così come il banchetto, ogni casa ritornó nel proprio dormitorio.
Compreso Remus Lupin, che ogni tanto buttava qualche occhiata in quel tavolo dove, Amanda, si sarebbe dovuta sedere per tutto il resto dell'anno.

Il dormitorio era composto da una grande sala comune, piena di divanetti e tavolini, qualche statua a mezzobusto dei precedenti maghi e streghe che avevano insegnato lì e poi uno splendido camino incastonato in una lavorazione a mattoni grigi.
Amanda si sedette sul divano, di fronte al camino. Per lei quella giornata era stata abbastanza frustrante. La storia dello smistamento, quella Mirabel così antipatica, il ragazzo del treno che l'aveva guardata.... Come si chiamava?
Remus. Insomma troppe cose.
Poi il ragazzo che prima l'aveva difesa, si sedette accanto a lei, osservando le fiamme del camino che divampavano su alcuni tizzoni di legna.
"Sono Regulus Black, comunque. Vorrai scusare Mirabel, è un po' rozza nei modi che ha." sentenziò Black, voltandosi per posare i suoi occhi su quelli di Amanda, che finalmente aveva alzato lo sguardo.
Si sentì persa, ma Regulus Black sembrava volerla fare ambientare.
"Grazie per avermi aiutata. Anche se ho conosciuto molte persone come Mirabel, nella mia vita... Diciamo che ci sono abituata." finì lei, per poi incurvare le labbra in quello che era un sorriso amaro.
Regulus ricambiò.
"Ti troverai bene qui, vedrai" disse. E poi si alzò, guardò l'orologio affisso sopra il camino "è meglio che tu vada a letto adesso.  Domani ci sarà la prima lezione di pozioni per voi del primo anno. Noi del secondo abbiamo   incantesimi, perciò stai tranquilla non incontrerai Mirabel" sorrise e andò via.
Amanda tirò un sospiro, finalmente quella giornata poteva dichiararsi ufficialmente terminata.

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