X. Ci vuole coraggio (anche per aver paura) - Parte 2

Start from the beginning
                                    

Ciononostante, giunge alla stessa conclusione cui era giunto dopo aver interrogato sua moglie Assunta: non è Beniamino Iannello, l'uomo che stanno cercando; né per l'omicidio di Gigliolo, né tantomeno per quello di Annina. Scambia un'occhiata d'intesa con Maione, per poi dare lui stesso inizio all'interrogatorio come da prassi:

«Voi conoscevate il colonnello Fernando Gigliolo?»

Iannello scuote stanco la testa.

«No, l'ho ripetuto anche ai vostri colleghi,» dice, strascicando la voce; poi rialza il capo di colpo, gli occhi febbrili: «Vi prego, non sono stato io! Non so nemmeno com'era fatto, questo Gigliolo!»

«Calmatevi,» lo richiama all'ordine Maione, scoccando un'occhiata alla porta. «Dare spettacolo non vi scagionerà.»

«Non siamo qui per accusarvi,» aggiunge Ricciardi, più posato.

«E per cosa, allora? Pare che abbiano già tutti deciso che sono colpevole! Mi hanno prelevato al porto come un criminale... non sembravano nemmeno poliziotti!»

«Siamo qui per farvi delle domande,» riprende Maione, facendosi avanti di un passo. «E, vista la vostra situazione, vi conviene rispondere a tutte e collaborare, se non volete fare una finaccia.»

Iannello sgrana gli occhi, di nuovo intimidito.

Ricciardi alza un palmo deciso ad ammansire il collega e Maione si ricompone, le narici che fremono. Pare ancora su di giri per tutta la faccenda di Annina e di quel giro losco di bambini: si lascia prendere la mano, quando è emotivamente coinvolto, ma spaventare Iannello non porterebbe a nulla. Si rivolge di nuovo all'arrestato, in modo più formale:

«Avete sempre lavorato per i Vinciguerra?»

Lui sembra spaesato per il cambio d'argomento, ma risponde con prontezza:

«Sì, commissario, sin da ragazzo. Il signor Renato, il padrone, è stato compagno d'armi di mio padre a Vittorio Veneto. A Vinciguerra l'hanno pluridecorato, ma lui ci scherzava e diceva che era solo per il nome. Mio padre invece stava nelle retrovie. Manco una medaglia, gli hanno dato, e ha pure perso una mano. Era carpentiere, non poteva più lavorare e quindi ho mollato la scuola per aiutarlo. Il signor Renato l'ha assunto pure se era monco, perché gli aveva salvato la vita in guerra. Dopo di lui ha preso a servizio mia moglie e faceva fare a me qualche lavoretto di manutenzione, che sono carpentiere pure io.»

Maione freme sul posto, le vene del collo che si gonfiano man mano che Iannello prosegue nel racconto, per poi sbottare come una caldaia che rilascia vapore fischiando:

«Disgraziato! Siete andato a derubare la mano che v'ha nutrito?» commenta aspro, suscitando un nuovo sussulto in Iannello. «Non negate: lo sappiamo, che voi e la vostra cara consorte vi siete intascati qualcosa.»

«Brigadiere, non siamo qui per questo,» lo richiama ancora Ricciardi, scoccandogli un'occhiata dura, per poi abbassare la voce: «Modera i toni o vai ad attendermi fuori.»

«No, commissario, il brigadiere tiene ragione,» sospira Iannello, con occhi d'un tratto tremuli. «Ho avuto vergogna, nel farlo, ma... ma i soldi non bastavano, con quattro bocche da sfamare, e non potevo chiedere di più al signor Renato. Non se n'era nemmeno accorto, degli ammanchi, finché non l'hanno derubato davvero.»

«Vostra moglie ha detto che non se n'è mai accorto e che ha licenziato tutti in tronco per il furto grosso di qualche tempo fa,» gli fa notare Ricciardi.

«È quello che sa lei,» annuisce Iannello, tirando piano su col naso. «Il signor Renato mi ha preso da parte, il giorno del licenziamento generale. Ha detto che l'aveva sempre saputo, dei miei furtarelli, e che aveva chiuso un occhio. Ma che dopo quella rapina non poteva più fidarsi, che gli erano spariti i gioielli di famiglia e pure una medaglia al valore. E che quindi, a me licenziava solo per il primo fatto: perché, se non avessimo già rubato a lui, avrebbe licenziato tutti tranne me e mia moglie. Per rispetto di mio padre, pace all'anima sua.»

La Ruota degli AngeliWhere stories live. Discover now