IX. Le ultime volte (non bussano alla porta) - Parte 1

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Ricciardi si irrigidisce, con l'improvviso, impellente istinto di muoversi, di uscire da quel vicolo soffocante. Non si muove di un millimetro, invece, con scintille frenetiche di pensieri che gli scoppiettano in testa, il volto una maschera di granito che rischia di sgretolarsi.

«Avete la soluzione al caso del compianto colonnello Gigliolo su un piatto d'argento,» continua Falco, facendosi di nuovo beffardo a quel suo silenzio. «Beniamino Iannello vi aspetta a Poggioreale, dove il vostro superiore ha già provveduto a farlo accompagnare in attesa che voi lo interroghiate. Una pura formalità, s'intende.»

Ricciardi non sa come possa parlare in tono tanto calmo e incurante della vita di qualcun altro, un innocente. L'unico baluardo a trattenerlo dall'esplodere non è nemmeno ciò che potrebbe accadere a lui stesso, ma a Bruno; non può pensarci, non deve.

«Non arresterò un innocente per compiacere il Partito,» sillaba a voce più alta, i muscoli della gola tesi in corde dolorose che gli piegano la voce. «Se è questo che mi state chiedendo, fareste meglio ad ammazzarmi qui e ora, piuttosto.»

L'uomo schiocca la lingua, come se la sola idea lo seccasse.

«Uccidervi qui non porterebbe a nulla; solo una trafila di inconvenienti. Un uomo ucciso in modo triviale non può essere d'esempio a nessuno, a mio modesto parere,» sciorina, con la stessa sicumera di un professore in un'aula. «Voi e il vostro facinoroso dottore, invece, se lasciati in vita quanto basta nel giusto modo, potreste divenire ottimi esempi da non seguire, commissario. Ci sono punizioni peggiori della morte, credetemi.»

A Ricciardi si chiude la gola, a quelle parole, troncando il flusso di insulti che vorrebbe riversare addosso a quell'uomo. Si sollevano in una marea bollente contro la lingua e poi ricadono giù a capofitto, lasciandolo afono, con il retrogusto della bile in bocca. Non può pensarci; non può pensare a Bruno in una cella o a se stesso in un istituto psichiatrico. Falco ha ragione, su quello: è peggio della morte, è peggio anche di vedere i fantasmi.

L'agente, a quel punto, gli si accosta appena, con un fare confidenziale che gli provoca immediato ribrezzo. Parla in un sussurro:

«Sapete, è un gran peccato che quella povera creatura sia stata uccisa proprio sotto casa vostra,» dice con leggerezza simulata. «D'altronde, è noto che a certe deviazioni dell'animo umano se ne accompagnino spesso altre, ancor più depravate.»

«Che cosa stareste insinuando?»

Non si è nemmeno accorto di essersi sporto in avanti, col sangue che gli romba nelle orecchie a ogni battito. L'uomo alza appena un palmo, a frenare i suoi compagni dall'intervenire.

«Di usare accortezza, commissario,» dichiara poi, sempre con quel sorrisino a storcergli le labbra. «Si sa che, per un invertito come voi, il passo tra l'insultare la pubblica decenza per sodomia e il diventare un criminale che asseconda le proprie perversioni è molto breve, se non nullo.»

Se c'è mai stato un filo di calma a tenerlo al proprio posto fino a quell'istante, si spezza a quelle parole con un suono di tessuti lacerati. Non sa nemmeno di muoversi: fa un passo avanti, la rabbia che deflagra rossa e bollente dinanzi agli occhi in uno strato di magma. Afferra Falco per il bavero della giacca, strattonandolo a sé.

«Voi, i criminali veri, non li avete mai nemmeno visti in faccia,» gli sibila a un palmo dal viso, incontrando i suoi occhi d'onice ancora imperturbati.

L'uomo abbassa il palmo.

Due morse ferree lo agguantano per le spalle e per i gomiti, strattonandolo all'indietro e facendogli perdere la presa. Un colpo netto dietro le gambe lo scaraventa per terra, in ginocchio: l'impatto gli fa sbatacchiare i denti e gli invia una scossa di dolore alle rotule. Dita forti gli afferrano i capelli sulla nuca, piegandogli le braccia e torcendogli il collo per obbligarlo ad alzare il viso.

La Ruota degli AngeliWhere stories live. Discover now