Mi passai la mano sulla fronte, perché non ci credevo davvero che avremmo trovato una soluzione, e rimasi sorpresa nell'avvertire l'assenza della frangia. Ormai erano mesi che non andavo più a tagliarmi i capelli, l'ultima volta era stato ad Urbino, in luglio, insieme a mia madre, il giorno prima che tornassi a Parigi. Dio, quanto aveva pianto.

Non aveva mai realmente creduto che sarei tornata in Francia, dentro di sé credo fosse convinta del fatto che, una volta laureata, sarei tornata a casa. Ma non volevo rimanere a casa, la mia vita ormai era a Parigi o in qualsiasi altro posto, ma non ad Urbino, non più. A Parigi avevo i miei amici, a Parigi avevo la mia ispirazione e sempre a Parigi avevo i miei sogni. E un rimpianto, solo uno, e basta.

Comunque la mia frangia era diventata troppo lunga e avevo iniziato a dividerla a metà, poi a tirarmela indietro e infine a vederla come normalissimi capelli castani sulle mie spalle.

C'era stato un momento, quando i soldi erano sembrati davvero troppo pochi, verso la fine di ottobre, in cui avevo cercato di smettere di fumare. Il risultato era stato l'esatto opposto, ero così nervosa che avevo rincarato la dose.

Avevamo trovato il nostro modo di fare economia: la colazione la facevamo da Marie, che aveva iniziato a lavorare in un bar e ci passava sottobanco un caffè e una brioche alla mattina. Jacques studiava ancora e la sua parte la pagavano i suoi, per fortuna, mentre Manuel aveva uno stipendio che per esperienza personale posso dire che faceva un po' schifo; io contribuivo con la mia mensilità, la mia energia e la mia spiccata benevolenza verso il prossimo. Chissà perché, ma quando dico così nessuno mi crede.

«Ho in mente un nuovo quadro», annunciai sovrappensiero.

Manuel aveva smesso di ascoltarmi mentre pensavo alla mia frangia. «Eh? Che dici, Sandwich?».

Aveva smesso di chiamarmi "Frangetta", proprio perché non l'avevo più, e per qualche tempo era entrato in una fase di crisi profonda perché non sapeva più come apostrofarmi, durante una nottata particolarmente fumata aveva anche detto che avevo perduto la mia identità e che ero diventata uno di quei robot senza personalità. Poi, un giorno, mi aveva vista addentare un panino con mortadella e squacquerone. Non avete la minima idea di quanto sia difficile trovare dello squacquerone in Francia – anzi, trovarlo ovunque tranne che in Romagna e nelle Marche – e quando lo avevo visto in un supermercato ero andata fuori di testa.

A Manuel era piaciuto il modo in cui avevo mangiato il mio sandwich, come se stessi sgrufolando un profitterol. Ecco perché da qualche mese ero "Sandwich". Delle due preferivo Frangetta.

«Dico che ho in mente un soggetto per un quadro nuovo», ripetei.

«Fico!», esclamò con un bel sorriso. «Contenta?».

Sollevai le spalle. «Beh, sì, direi proprio di sì».

«Se tu sei felice, io sono felice».

Avevo stretto una bella amicizia con Manuel. Non lavoravamo quasi mai nello stesso reparto, era capitato una volta sola ed avevamo rischiato il licenziamento perché avevamo riso e scherzato tutto il tempo, però avevamo legato moltissimo. Jacques non lo avrebbe mai ammesso, ma si vedeva che era contento. Credo che nel suo intimo avesse nutrito il timore che il suo ragazzo non ci piacesse.

Mi accoccolai contro di lui, sbuffando. «Ho mal di testa. Non ci torno là dentro, ok? Proprio non ci torno».

Lui annuì, facendo ondeggiare i suoi dread. «Brava, bello questo tuo modo di fare, fuck the system, sorella».

«Vorrei fosse così facile, fratello», risposi ridacchiando e chiudendo gli occhi. Il respiro regolare della pancia di Manuel sotto la mia testa, il suo oscillare su e giù, era un toccasana per il mio cervello fuori controllo. Mi piace dire, quando ho mal di testa, che è la troppa intelligenza che preme contro la scatola cranica. Comunque l'odore dell'erba e l'attività respiratoria del mio materasso umano costrinsero la mia mente ad annebbiarsi e ad assopirsi, fino all'oblio di un sonno senza sogni.

The Art of HappinessOù les histoires vivent. Découvrez maintenant