VII. Paese reale (di sudditi e re) - Parte 1

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Ricciardi annuisce, sempre con la sensazione latente di stare avvicinando tra loro due capi opposti e apparentemente insanabili dello stesso tessuto. Serra le mani dietro la schiena, trattenendo un moto inquieto, e sente il cuore accelerare i battiti, come sempre quando intravede dinanzi a sé una pista da seguire, seppur per un istante. Svanisce come un riflesso fugace sull'acqua, ma l'impressione permane.

Le successive parole le pronuncia con intento, osservando la reazione del prete:

«Ciò mi facilita il lavoro, perché dovrò comunque far loro visita per domandare se risulta scomparsa una bambina nelle loro strutture. O in quelle a loro affiliate.»

Don Pierino trasecola, come se avesse anche lui, solo ora, fatto combaciare due tasselli finora distanti e discordanti.

«Lo ritengo improbabile, commissario. L'avrebbero già segnalato a voi, alla Polizia. Sono molto attenti ai fanciulli che hanno in cura,» dice, con fermezza. «Purtroppo, però, vi sono molte anime innocenti che non hanno la fortuna di essere accudite da loro e che vagano per la strada, alla mercé degli abietti. Lo sapete meglio di me, commissario... quel povero bambino, l'anno scorso, avvelenato come...»

«Lo ricordo bene, credetemi,» lo interrompe lui, seccamente.

Non ha bisogno di pensare anche al cadavere del piccolo Tetté abbandonato al freddo, in questo momento, né alla torma di altri bambini che gli gravitava attorno, e che chissà che fine ha fatto ora. Don Pierino strizza le labbra, contrito, e addolcisce un poco lo sguardo.

«Dio solo lo sa, cos'abbiano passato quelle povere creature.»

Si fa il segno della croce e Ricciardi non lo imita. Fissa invece gli arzigogoli barocchi in stucco e marmo che si affastellano sopra di lui, senza aggiungere altro.

Né che Annina non pareva affatto essere cresciuta in strada, tanto meno col proprio nome ricamato sulle vesti, né che non vi è stata alcuna segnalazione di scomparsa da parte di quelle istituzioni che Don Pierino definisce così premurose, nonostante il decesso risalga a più di un giorno fa. A poco meno di ventiquattr'ore da quello di Gigliolo, di fatto.

Ricciardi frena quella linea di pensiero, sentendosene attratto oltre ogni logica motivazione, se non l'istinto, che gli dice di stare perseguendo un collegamento corretto e non solo campato per aria per sua convenienza. Non ha prove, però, solo intuizioni basate sul niente e coincidenze sfarfallanti, tenute insieme da leggende, voci che solo lui può udire e ipotesi improbabili.

«Un'ultima domanda. Un po' bislacca, a dire il vero,» aggiunge, inclinando appena il capo a mo' di giustificazione e suscitando un guizzo incuriosito sul volto del prete. «Voi, del cosiddetto Munaciello, avete mai sentito parlare?»

Ci manca poco che Don Pierino scoppi a ridere: si trattiene a stento, con un paio di colpetti di tosse contro il pugno serrato.

«Ah, commissario, se ne ho sentito parlare. Troppi ce ne stanno, in questa città!» si rianima, senza alcun a traccia di rimprovero nel menzionare quel racconto popolare, confermando la sua fama di prete un po' troppo indulgente col profano. «Ogni strada e quartiere ha la sua versione; chi dice che è benigno, chi maligno; chi gli lascia offerte e chi lo tien lontano... è affascinante, invero,» dice allegro, per poi guardarlo con insistenza. «Ma perché mai vi interessa questa storiella? Non sarà mica così che state indagando, spero.»

«Una curiosità mia, nient'altro,» si schermisce lui, abbozzando un sorriso. «E, a volte, anche questo tipo di storielle può tornare utile. In loro c'è sempre un fondo di verità.»

«Beh, commissario, allora fate attenzione a non lasciarvi abbindolare,» lo ammonisce, ricomponendosi un poco nelle sue vesti ufficiali di ecclesiastico. «In queste favole, non è mai ben chiaro dove si celi il male o il bene. Sono entità volubili, quelle che scaturiscono dalla vulgata del popolo; e, alla fine, esse si rivelano solo fallibili, malaccorti esseri umani.»

La Ruota degli AngeliWhere stories live. Discover now