VI. Le lacrime dell'Inferno (servono a qualcosa) - Parte 1

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«Va' via, Munaciello! Non mi fai paura. Non mi fai paura!»

Ricciardi si passa una mano sul volto, a domare la nausea e la morsa che gli strangola la testa. Gli viene da vomitare.

«Ti confermo che la causa del decesso è la frattura dell'osso ioide,» dice Bruno, con un lieve cenno dell'indice. Le sue parole torcono la quiete come uno straccio bagnato. «Non accidentale: ci sono chiari ematomi da strangolamento ed è cianotica. Non è stata una morte istantanea.»

Rimane lì chino in ginocchio di fianco alla bambina, senza muoversi. Le sistema un lembo del vestitino di lana, liso e troppo leggero, a coprirle meglio le gambe, in un gesto assente ma in qualche modo delicato. Le sue pupille rimangono puntate su quella figura minuta, col viso che ha lasciato pietosamente coperto dai capelli scuri ricci e aggrovigliati. Ha una mano poggiata accanto al viso e Bruno le ha chiuso gli occhi. Non fosse per la piega innaturale della testa e per il colorito cinereo, parrebbe solo addormentata.

«Vuoi sapere altro?» gli chiede il medico, dopo un lungo silenzio. Suona come un'accusa.

Ricciardi esita altrettanto a lungo, prima di rispondere. Gli sembra di essere intrappolato su un palco, obbligato a recitare le battute di rito senza potersi sottrarre alla parte, con anche l'altro attore in scena che vorrebbe smettere quei panni.

«Sapresti dirmi altro?» chiede alla fine, con lo stesso tono sommesso, come fossero a una veglia funebre.

Una veglia interrotta, per lui, dalla voce straziata della vittima stessa:

«Va' via, Munaciello! Non mi fai paura. Non mi fai paura!»

Si stropiccia gli occhi, sentendoli gonfi e dolenti. Aspira aria umida e stantia.

«So dirti ciò che vedo, cioè che il decesso è avvenuto all'incirca ventiquattr'ore fa, a giudicare dal rigor e dal livor mortis. Le manca una scarpa e la pianta del piede scalzo è lesa in più punti, come se avesse corso per un pezzo. Il vestito e le calzature sono consunti, ma di buona fattura, non mostra segni di denutrizione evidenti e la dentatura è sana. Non mi sembra un'orfanella di strada.» Bruno parla con voce incolore, strascicata. Continua a non guardarlo. «Vuoi che approfondisca ancora?»

Ricciardi sa cosa gli sta chiedendo realmente. Non è la prima volta che Bruno esegue un esame necroscopico su un bambino, ma non vuol dire che lo faccia a cuor leggero. Se può evitarlo, gli sta dicendo indirettamente, ne sarebbe sollevato. Anche perché sa qual è l'altro sospetto inespresso che aleggia tra loro, e che l'esame potrebbe confermare.

«Lo ritieni necessario?» gli reindirizza la domanda, con l'impressione di stare leggendo un copione ritrito che si intensifica.

Gira il capo, a fissare il fantasma della bambina che ondeggia lì accanto, con il capo leggermente reclinato sul collo sottile come se pesasse troppo. Lo fissa, gridando.

«Non vedo segni di violenza, se è questo che mi stai chiedendo,» scuote la testa Bruno, in trasparenza oltre il fantasma. «Almeno, non apparenti. Qualsiasi esame più preciso preferirei eseguirlo in obitorio e non in questa chiavica.»

Bruno si rialza di scatto, strusciando contro le pareti strette. Attraversa inconsapevole lo spettro, causandogli un moto di disagio e portandosi a mezzo passo di distanza dal corpo. Il suono delle sue scarpe che grattano contro il tufo riverbera nella galleria. Poi gli pianta gli occhi addosso, chiodi roventi oltre la luce della lanterna, in attesa di una sua decisione.

«Esegui la necroscopia per sicurezza,» si risolve a dire lui, sostenendo il suo sguardo inquisitore. «Non voglio lasciare nulla al caso.»

«Mi pare ovvio.»

La Ruota degli AngeliOù les histoires vivent. Découvrez maintenant