VI. Le lacrime dell'Inferno (servono a qualcosa) - Parte 1

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I due passi che lo separano da Bruno gli sembrano voragini e, quando gli si piazza di fronte, il medico nemmeno alza la testa, coi ricci che ricadono a schermargli gli occhi, gettando ombre spiraliformi sulle sue guance.

«Bruno,» lo riscuote, come se ce ne fosse bisogno.

Non sa se dovrebbe essere più autoritario o più accomodante; non sa nemmeno in che vesti gli si stia rivolgendo adesso. C'è una barriera, tra loro, che si è manifestata nel momento in cui gli occhi di Bruno di sono posati su quel corpicino esanime. Da allora, non gli ha rivolto una singola parola, né quando si è precipitato accanto alla bambina per sincerarsi che non ci fosse davvero più nulla da fare, né quando sono risaliti in superficie a rotta di collo per chiamare rinforzi. Non ha bisogno di chiedergli il perché di quel mutismo; se la sente pesare nell'anima, la risposta. È quella che lui non potrà mai dargli, il segreto che si porterà nella tomba.

«Bruno,» tenta di nuovo, a voce più bassa. «Dobbiamo esaminare la scena.»

«Ha il collo spezzato, Ricciardi,» replica lui, alzando il capo e guardandolo dabbasso. «C'è bisogno di sapere altro?»

«Ho bisogno che tu faccia il tuo lavoro di medico,» risponde lui, pacato, le mani affondate nelle tasche per non mostrarne il tremito, «mentre io faccio il mio lavoro di commissario.»

Bruno tace, fissandolo e basta, il sigaro che si consuma senza venir fumato. C'è un milione di domande, nei suoi occhi inquieti, assieme a qualcosa che Ricciardi non ci trovava dentro da quando l'hanno arrestato. Paura, sopita e domata, ma che si agita in controluce nelle iridi di solito così brillanti e ora adombrate. Ciò che lo turba di più, tranciandogli il respiro, è che parte di quella paura sia rivolta verso di lui. La paura di chi non capisce, e ha paura a farlo di fronte a qualcosa di inspiegabile.

«Alzati e andiamo.»

Vorrebbe tendergli una mano, ma la tiene piantata nella tasca. Bruno aspira una boccata di fumo, poi lancia via con stizza il sigaro ormai consunto con un guizzo delle dita.

«Sì, Lazzaro, alzati e cammina,» bofonchia, espirandogli fumo in faccia nel levarsi in piedi di scatto. «Muoviti e chiudiamo questa faccenda.»

Ricciardi espira seccamente, scacciando il fumo. Segue le sue falcate rapide e nervose con passo più calmo, il petto che gli si chiude nell'avvicinarsi all'ingresso di quella che, fino a un'ora prima, era solo casa sua.

Lancia uno sguardo in alto, alla striscia di cielo nero pece tra i palazzi, prima di superare Maione e accodarsi a Bruno verso la botola, consapevole che la tempesta finora sopita lo attende sottoterra.

Lancia uno sguardo in alto, alla striscia di cielo nero pece tra i palazzi, prima di superare Maione e accodarsi a Bruno verso la botola, consapevole che la tempesta finora sopita lo attende sottoterra

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L'esame di Bruno è rapido, metodico e volto a toccare il meno possibile quel piccolo corpo spezzato. Lo conduce in assoluto silenzio, senza la compagnia delle parole né del sigaro, come invece avviene di solito. Ricciardi rimane poggiato al muro della stretta galleria, abbastanza distante da non intralciarlo in quello spazio già angusto, ma abbastanza vicino per riuscire a fargli luce con la lanterna. Tiene lo sguardo puntato sul muro irregolare di fronte, cercando di ignorare l'olezzo di morte che ristagna lì dentro, ora ben percettibile anche a lui, fomentato dalle occasionali folate di vento che attraversano quei cunicoli. Nella visione periferica vede, costante, il tremolio del fantasma, che continua a gridargli nelle orecchie, in un rimbombo infinito diretto solo a lui.

La Ruota degli AngeliWhere stories live. Discover now