V. La luce delle lanterne (e quella delle lampare) - Parte 2

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«L'ho costretta a tornare su e, credetemi, ce n'è voluto,» dice Maione. «Non volevo si prendesse un malanno, con questo freddo.»

«Hai fatto bene, grazie.»

Fa un cenno del capo a Nelide, sapendo che non ci sarà verso di farla schiodare da lì; lei ricambia in silenzio, immobile, guardinga.

«Ora, mi spiegate che è successo? Pareva che avesse visto un morto, quando mi si è presentata sull'uscio.»

Ricciardi fa appello al poco senso di sé che gli è rimasto per non mostrarsi turbato dall'espressione infelice di Maione.

«Raffaele, scusa se t'ho disturbato a quest'ora, ma non era una questione che potesse aspettare.»

Fa una breve pausa, assicurandosi di avere l'attenzione di Maione e il silenzio di Bruno, prima di lanciarsi uno sguardo circospetto attorno. Trova senza pensare la finestra di Enrica, al secondo piano di fronte a casa sua: intravede una sagoma stagliata contro il vetro illuminato e, per un istante fuggevole, incontra uno sguardo cerchiato da sottili occhiali dorati; lei è rapida a lasciar ricadere la tenda a schermarsi. Ricciardi serra la mandibola: può dire addio alla discrezione, se mai c'è stata.

«Spostiamoci dentro,» li invita, con un cenno brusco verso il portone, «sarà più semplice spiegarvi tutto.»

«Alla buon'ora,» bofonchia Bruno.

Lo sguardo che gli invia, però, è più preoccupato che risentito.

«Va' via, Munaciello! Non mi fai paura. Non mi fai paura!»

La voce lo assale non appena apre il portoncino e mette piede nell'androne. Stavolta, le sue pupille si dirigono immediatamente verso il centro della stanza, a terra. Sa che è solo un'impressione, ma gli sembra ancor più straziata, come se a gridare così a lungo le si stesse consumando la voce. Non sembra nemmeno più umana.

Dal portoncino lasciato aperto, filtra abbastanza luce da poter distinguere con chiarezza i contorni della stanza e i dettagli del mattonato in tufo.

«Va' via, Munaciello! Non mi fai paura. Non mi fai paura!»

«Maione,» si forza a dire, sovrastando la cantilena udibile solo a lui, «tu oggi m'hai parlato della leggenda del Munaciello.»

Maione aggrotta le sopracciglia e solchi profondi gli incidono la fronte per lo sconcerto. Lo sguardo che scambia con Bruno è tutt'altro che discreto e il medico emette un soffio esasperato.

«Sì, brigadie', ha fatto una capa tanta con questa storia anche a me. Assecondatelo, prima che mandi ai pazzi pure noi.»

Ricciardi strizza le labbra, contrariato; sa che il sarcasmo di Bruno diventa caustico, quando è nervoso, ma quella battuta gli si conficca sottopelle come una spina molesta. Il medico sostiene il suo sguardo con fare altrettanto poco scherzoso, ben conscio di aver colpito in profondità.

«Sì, ve ne ho parlato,» risponde cauto Maione, forse captando il picco di tensione tra loro. «Ma non pensavo riteneste plausibile che...»

«Che qualcuno si sia interessato a questa leggenda tanto da verificare se i pozzi d'accesso siano agibili o meno, così da muoversi indisturbato nei cunicoli sottoterra?» completa Ricciardi, con fermezza. «Dopotutto, questa credenza del "Munaciello" deriva dai pozzari che vi facevano manutenzione; gente reale, esistita, che in questa rete sotterranea si muoveva davvero a piacimento.»

«Mezzo secolo fa, magari,» commenta Bruno. «Col risanamento di Napoli hanno chiuso, murato e messo in disuso la maggior parte della vecchia rete idrica e delle cisterne di raccolta. E grazie a Dio, aggiungo: almeno ho qualche caso di colera in meno per le mani.»

La Ruota degli AngeliWhere stories live. Discover now