PROLOGO - LE STRADE PARLANO

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A te che tra le mie braccia hai pianto
perché avevi perso la tua casa,
e di me hai fatto pareti.









Sono passati tre anni della mia partenza.
Il giorno precedente al volo, un senso di angoscia mi ha attanagliato il petto, poche ore dopo la chiamata di Flavia, la mia mamma adottiva,
«La nonna sta morendo, devi tornare.»
In quell'istante sentii il peso del cielo sulle spalle, come quel giorno.

Sette anni prima in una conversazione scoprii di essere adottato.
Rimasi dietro la porta con lo sguardo fisso al pavimento, mentre le voci di mia madre e mio padre si facevano ovattate e la mente rincorreva le fughe del pavimento.
Ripensai a tutte le volte che mi avevano fatto i complimenti, come se fosse un merito mio, per esser bello e con i lineamenti delicati di mia mamma, oppure per il taglio degli occhi simili a quelli di mio padre. Ripensai con quanta insistenza chiesi un fratello, e al fatto che si incupivano sempre al mio desiderio di non esser più figlio unico, o a quante volte ho sentito singhiozzare mia madre dentro al bagno e a mio padre che le offriva le sue spalle come conforto.
Con il tempo compresi il motivo di quei pianti e le mie richieste cessarono.
In quel momento, appoggiato allo stipite della porta, come se da me dipendesse il crollo di quelle mura, i miei occhi si riempirono di lacrime.
Solo i passi di mia nonna distolsero lo sguardo dalle linee ingrigite delle piastrelle, alzai il mio volto rigato e paonazzo e vidi lo sgomento nel suo, per poi scappare via.
Sono convinto che lei avesse avvisato della mia presenza, perché poi l'aria in casa si fece rarefatta.

L'unico posto in cui trovavo pace era il panificio in fondo alla strada, dove con mia nonna andavo a fare colazione ogni sabato mattina, solo io e lei.
Quando addentava il krapfen alla crema, sorrideva, le rughe sul suo volto così duramente marcate dal tempo, improvvisamente si addolcivano.
A tutti lei è sempre sembrata una donna dura, quasi ostile, e secondo me questo era dovuto alla prematura dipartita del nonno. Una donna di poco più di quarant'anni rimasta vedova, con due gemelli piccoli, e poco più tardi anche uno di loro morì a causa di una meningite.

«Ti piace proprio Angela?» mi diceva, scherzando, mentre osservavo la figlia del panettiere servire ai tavoli.
Si, mi piaceva proprio. Mi piaceva il modo in cui la coda alta in cui legava i suoi lunghi capelli dondolava mentre camminava, mi piaceva il tono della sua voce così gentile, le sue mani affusolate mentre ti porgeva la tazzina, e il suo grande sorriso quando la ringraziavi, ma più di tutto mi piacevano le battutine e le prese in giro che si facevano lei e suo padre, capivi che oltre ai tratti così minuti e aggraziati, c'era un carattere forte e spigliato e tanta dolcezza, talmente tanta che il krapfen in confronto sembrava insipido.
Credo lei sia stato il mio primo amore. Quello che tieni gelosamente nel cuore, quello che sei incapace di dichiarare perché neanche tu sai che è amore.
E poi improvvisamente lei non c'era più, iniziò l'università e al suo posto arrivò un'altra ragazza, le gag comiche sparirono e la crema riprese la sua dolcezza.

«Ti sta stretto questo posto, si vede. So che sai la verità, e so che hai paura di lasciarli, ma è giusto che tu trovi la tua strada».
Quel sabato mattina, mentre mia nonna mi diceva quelle parole, nonostante il krapfen, il suo viso era serio. «I figli non sono dei genitori, appartengono a loro stessi, l'unica cosa che possono fare è indicargli la via, ma non possono vivere al loro posto. Non aver paura.»
Quella fu una delle mie ultime colazioni prima di decidere di trasferirmi in Inghilterra, non avrei mai immaginato di ordinare un biglietto all'ultimo minuto, di sentire come se le ore mangiassero vita, di non potermi togliere dalla testa il volto di mia nonna.

Mentre l'aereo stava atterrando, nella corsa in taxi, l'unica cosa che ho chiesto era di potergli stringere la mano.
Una volta arrivato e scaricate la valigia dal portabagagli, mi incammino.
Tutto è uguale, il tabacchino dall'altra parte della strada ha la solita insegna sbiadita, c'è un gruppo di vecchiette che sicuramente sta spettegolando fuori dalla merceria, il panettiere è ancora lì, una ragazza con i capelli corti alza la testa e guarda il cielo, per poi iniziare a chiudere gli ombrelloni sopra ai tavoli.
Le passo accanto, lei si volta e sorridendomi mi saluta.
La guardo attentamente e la riconosco, è Angela.
È tornata anche lei, il mio cuore inizia a battere all'impazzata, in un misto di angoscia e malinconia continuo a camminare.
La pioggia inizia a cadere, e non mi importa mi bagni anzi, è perfetta ora, sembra che le lacrime che cerco di trattenere si stiano riversando sul mio capo.
Si, mi piace la pioggia, porta con sé l'odore del cielo.

The smell of HeavenWhere stories live. Discover now