III. La più grande libertà (è quella che ci tiene in catene) - Parte 2

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«Gigliolo, così suppongo io, doveva essere necessariamente rivolto verso il tavolino e in piedi tra esso e il divano, per morire in quel modo. L'hanno assalito alle spalle, a giudicare dal punto d'impatto, dalla traiettoria e dalle lesioni.»

Ricciardi capisce cosa vuole dire Bruno prima ancora che possa dirlo.

«Alle spalle?»

«Ecco, lo vedi che hai già capito l'inghippo?» ammicca lui. «Hai una perspicacia invidiabile, quando non si tratta di questioni sentimentali.»

Lui ignora la frecciatina, che è ben meritata. E vorrebbe fosse pura perspicacia, invece non può spiegare cosa non gli torna con così tanta leggerezza. L'ha ben nitida in testa, l'immagine del fantasma di Gigliolo, la sua posizione, la linea del suo sguardo, le parole che ha pronunciato. È chiaro che l'aggressore fosse di fronte a lui, ma non può esporsi senza suonare sospetto. Deve circumnavigare la conclusione molto più al largo di quanto vorrebbe fare.

«L'unico accesso alla stanza era di fronte a lui. Come ha fatto a non vedere l'aggressore e a farsi prendere alle spalle?» chiede quindi, sedendosi di nuovo e gettando un'altra occhiata al referto e alle foto della scena.

«Precisamente. Mi spieghi chi, sentendo qualcuno che gli entra in casa a quell'ora, ed essendosi già alzato in piedi, non si guarderebbe intorno? Aveva un divano dietro, la luce era accesa e prenderlo alle spalle senza essere visti sarebbe stato pressoché impossibile.» Bruno fa una pausa studiata, agitando il sigaro a mezz'aria. «A meno che non ci fosse qualcosa di molto più interessante da guardare davanti a sé. La domanda è... cosa?»

Il fantasma di Gigliolo che fissa un punto preciso nel vuoto riemerge con più prepotenza. Il fatto che avesse l'assassino davanti e quello che sia stato aggredito alle spalle, realizza, non debbono essere necessariamente in contrasto tra loro.

«Tu... che ci fai qui? Come hai fatto a entrare?»

«O chi,» si arrischia a suggerire, guadagnandosi uno sguardo circospetto, ma non del tutto scettico. «Erano in due. Uno davanti, che l'ha distratto, e l'altro che gli si è avvicinato da dietro per ucciderlo.»

«Possibile.» Bruno non pare molto convinto, ma riprende il discorso: «Escludiamo fosse seduto o addormentato sul divano. La dinamica sarebbe ancora più astrusa: ci sono modi più rapidi e meno sconvenienti per ammazzare qualcuno in quella postura, senza doverlo per forza sollevare di peso per scaraventarlo su un tavolino. La lesione fatale, poi, è perfettamente frontale, non ha nemmeno voltato la testa. Ha avuto a malapena il tempo di divincolarsi; c'è qualche ematoma superficiale sulla zona clavicolare e scapolare sinistra, una lesione minore della seconda vertebra, ma nulla che suggerisca una resistenza attiva. L'hanno colto del tutto di sorpresa, l'hanno afferrato da dietro per la nuca e per una spalla e gli hanno sfondato la testa sul tavolino di fronte in un batter d'occhi,» conclude, imitando il gesto in questione, un arco repentino che si conclude sul piano rotondo tra loro.

«Un atto brutale,» commenta Ricciardi.

Puntella il mento sul palmo, gli occhi fissi sulle venature che corrono sul marmo. L'emicrania si è quietata, lasciandogli spazio navigabile tra i propri pensieri e permettendogli di riordinare qualche tassello sparso. La dinamica, descritta così e sovrapposta al fantasma di Gigliolo, gli torna almeno in parte. Ciò che non gli torna è come abbiano fatto gli aggressori a entrare non visti né sentiti né da Gigliolo né dalla guardia notturna, e a dileguarsi altrettanto in fretta. Poi c'è qualcos'altro, qualcosa che continua a sfuggirgli, che non si incastra bene in quel quadro che adesso pare più ordinato, nel suo essere macabro.

«Tu... che ci fai qui? Come hai fatto a entrare?»

Ricciardi fissa Bruno, tamburellando appena con le unghie sul tavolo.

La Ruota degli AngeliWhere stories live. Discover now