Appendice - Hibaku jumoku

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Se ti stendi per terra e guardi il cielo trovi quella particolare visione di un azzurro intenso solcato appena da qualche nuvola di cotone e percorso per tutto il tuo campo visivo da intersezioni di rami. Alcuni di essi sono spogli e puoi provare a indovinare sagome, fantasticando con l'immaginazione delle forme. Le foglie verdi si muovono al vento e ricordano la danza delle stagioni, della vita.

Proprio qui, dove non avrebbe dovuto crescere più niente per almeno 75 anni.

Siamo sdraiati all'ombra di un Hibaku jumoku. Ci troviamo a Hiroshima

Ore 8,17 del 6 agosto 1945.

A 580 metri di altezza sopra la città di Hiroshima scoppia la prima bomba nucleare.

Passa meno di un secondo.

Un miliardesimo di secondo.

La temperatura nel punto di esplosione raggiunge i sessanta milioni di gradi centigradi, diventando dieci volte più calda della superficie del sole.

Improvvisamente, senza possibilità di appello, senza nemmeno la possibilità dei pochi istanti riservati al condannato a morte per fare un bilancio della propria vita, esseri umani, animali, piante, tutto viene ridotto in cenere.

I tondini di acciaio delle strutture in cemento armato si liquefanno.

Passano pochi secondi e arriva l'impatto dell'onda d'urto, alla velocità di 3000 metri al secondo, con una forza di ben sette tonnellate per metro quadro, e spazza via qualsiasi cosa incontri nel raggio di circa 800 metri dal punto di impatto.

Gli stessi bombardieri americani che avevano sganciato l'ordigno, a ben 8000 metri di altezza, vennero scossi dall'onda.

Lo scenario è spettrale. Lunare, forse.

E la stessa operazione si ripete tre giorni dopo a Nagasaki.

I palazzi, i castelli, tutto in quell'occasione viene spazzato via dalla forza bestiale degli ordigni e le radiazioni, presenti in maniera massiva e inedita, rendono incompatibili i territori con qualsiasi forma di vita.

Per la prima volta nella storia esistono luoghi che semplicemente non sono, scenari dove niente esiste.

E qui, dove niente esiste, qualcosa resiste.

170 alberi di 32 specie differenti resistono alla catastrofe nucleare.

La maggior parte di questi, dopo alcuni mesi, presenta dei germogli, dai quali poi cresceranno e prospereranno nuovi alberi, tutti nel raggio di massimo 2 chilometri dalle esplosioni.

Alcuni, pochi esemplari, sopravvivono integralmente alle esplosioni, andando contro alla logica, alla fisica, al pensiero umano.

Un albero di canfora dentro al Tempio Sanno sovrasta le macerie a Nagasaki, a soli 700 metri dall'impatto. Quell'albero è a tutt'oggi vivo.

Hibaku jumoku, o "bomb tree" in inglese, questo il nome che è stato dato agli alberi capaci di resistere all'ecatombe, esemplari oggi venerati e rispettati in tutta la nazione.

I loro semi vengono piantati in altre zone del Giappone o diffusi in altre terre per lanciare altrove la speranza della resistenza, della vita che vince sempre, e germoglia.

Fidati di meWhere stories live. Discover now