II. La nostra buona stella (è la peggiore tra le luci) - Parte 2

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«Non mi aspettavo di rivederti qui,» riesce a dire infine, sperando di non suonare sgarbato.

Prende posto dietro alla scrivania e non gli riesce di non guardarla negli occhi: è bella e non riesce a negarlo nemmeno adesso, per quanto sia un pensiero scevro d'attrazione. Non sa dire se ne abbia mai provata, perché quella è una zona della propria mente ignota a lui stesso. Forse è per questo, che preferisce asserragliarsi là dietro e indossare le inequivocabili vesti di commissario, escludendo qualunque tipo di rapporto personale tra loro.

«Perdonami, non volevo prenderti alla sprovvista,» dice lei, inclinando appena il capo in un gesto elegante. «Il tuo superiore, Garzo, mi ha... intercettata per parlare della futura visita di Edda qui a Napoli. È stato particolarmente insistente.»

«Non stento a crederlo,» tira le labbra lui, accavallando le gambe e celando le mani nervose in grembo.

Il vicequestore Garzo non perde mai occasione di lustrarsi agli occhi dei "piani alti" e i buoni rapporti di Livia con la famiglia del Duce sono un'occasione troppo ghiotta per lasciarsela sfuggire.

«Alla fine mi ha detto, in modo non troppo sottile, che stavi per arrivare e che avrei potuto trovarti qui.» Fa una pausa studiata, poi sembra colta da un'esitazione genuina. «Ho ritenuto opportuno... non dare adito a domande o far credere che fossimo in cattivi rapporti.»

Ricciardi si acciglia, interdetto, poi si ritrova ad abbassare gli occhi. Intuisce senza difficoltà i sottintesi di quell'affermazione, così come del suo gesto: con una donna come Livia apparentemente vicina a lui, gli sarebbe certo più facile dissipare qualsivoglia sospetto di frequentazioni sconvenienti, se necessario. Non si meriterebbe quelle premure, quella protezione. Non da lei. Non sono in cattivi rapporti, forse, ma non può dire che siano più in confidenza.

«Grazie. Non eri tenuta a farlo.»

«A dispetto di tutto, ho ancora un discreto interesse a preservarti,» sorride lei, col velo di malinconia di chi si trova davanti un qualcosa di irraggiungibile. «Non me ne verrebbe nulla, dal metterti in una posizione scomoda.»

I suoi occhi scuri si appuntano sul suo volto, sul livido evidente che gli segna uno zigomo. Sono interrogativi e, forse, accesi da un barlume di preoccupazione a cui, però, non dà voce. Ricciardi si limita a un lieve cenno del capo, non trovando parole giuste per ringraziarla ulteriormente, né ritenendole invero necessarie. Livia sa benissimo, a dispetto della discrepanza sentimentale tra loro, che lui la stima e rispetta molto più di tutti gli uomini che le ronzano attorno solo perché in cerca di un matrimonio da sfoggiare al dito.

«Posso chiederti perché sei qui in Questura?» chiede invece. «Ti ha fatta convocare Garzo?»

«Può solo sognare di avere quel tipo di influenza,» ride leggera lei, un suono pieno che si spegne presto. «In verità, ero qui per il caso di Fernando Gigliolo.»

«Lo conoscevi?»

Ricciardi si scosta dallo schienale, poggiando i gomiti sullo scrittoio in intento ascolto.

«Conoscevo sua moglie, Caterina. Era una mezzosoprano piuttosto nota, prima di ammalarsi. Cantammo insieme qualche operetta a Roma, quando eravamo entrambe agli esordi... Fernando l'ho incontrato di conseguenza.»

Ricciardi annuisce, grave, prendendo nota mentale di quelle informazioni.

«Mi dispiace. Le mie condoglianze.»

«Non servono a me,» si schermisce, con un cenno della mano. «Non eravamo affatto in confidenza. Speravo però di incontrare qui Caterina prima dei funerali, dato che dovrà tornare subito a Roma dopo questa trasferta obbligata.»

La Ruota degli AngeliWhere stories live. Discover now