«Allora, avete scoperto con chi deve uscire Keira?» indaga Noah, rivolgendosi ad Adeline, mentre siamo accomodati sulla pelle del grande divano.
Lei scrolla le spalle e svia il discorso, non ha intenzione di rispondere ed è un bene. Meno persone ne sono a conoscenza e meno rischiamo di farle finire nei guai.
«Guardiamo After?» propone Adeline, sorridendo come una bambina felice.
Sul volto di Gabriel si dipinge una smorfia di disgusto. «Ti prego, no.»
Io ridacchio, completamente d'accordo. Non sono riuscita a terminare neanche la visione del primo. Tanto mi ha travolto in modo positivo la lettura dei libri, tanto mi ha deluso la versione cinematografica.
«Dai, vi prego!» insiste lei.
Noah scrolla le spalle. «Per me è uguale.»
Adeline cerca allora la mia approvazione, non riesco a dirle di no, perciò annuisco e la accontento.
Appena i primi minuti e Gabriel inizia a russare profondamente, con la guancia poggiata contro la mia spalla. Io, perciò, dato che i due piccioncini al mio fianco non fanno altro che scambiarsi saliva, mi concentro sul film.
Altrettanti pochi minuti e Noah trascina Adeline su per le scale, scusandosi con me, dato che evidentemente non riescono a controllare i loro impulsi sessuali.
I suoi genitori non sono in casa e mi rendo conto di quanto sia normale per alcuni di noi, non averli tra i piedi. Il che lo rende maledettamente triste, perché a differenza di ciò che si possa pensare, non vorremmo questo, troppa libertà dopo un po' risulta angosciante.
Annoiata, sbuffo e muovo la spalla, in modo che Gabriel si svegli. Ottengo ciò che voglio, ora la sua espressione confusa e assonnata è davanti a me.
«Oh, mi dispiace tanto, sono una frana» si scusa, chiaramente mortificato.
Forzo un sorriso per tranquillizzarlo, ma in realtà vorrei soltanto andare via. Non è lui il problema, è fatto a modo suo, ma il suo comportamento mi delude. Non che voglia essere trascinata in una stanza qualsiasi, ma dovrebbe almeno mostrare un minimo di attrazione verso di me, no?
«Ti hanno lasciata da sola» osserva, rendendosi conto dell'assenza dei suoi amici.
«Tu ti sei addormentato» sottolineo.
Lui si acciglia. «Lo so, ho detto che mi dispiace davvero, Steph.»
Sospiro. «È tutto okay.»
Le sue spalle si drizzano e mi guarda con aria confusa, sta cercando di capire cosa voglio, ma il problema è che non lo so nemmeno io.
«Credi di non piacermi?» mi chiede, lasciandomi di sasso.
Deglutisco e rimango in silenzio, puntando gli occhi sul televisore dove le immagini del film continuano a scorrere, senza però prestarvi troppa attenzione.
«Pensavo che volessi andarci piano, io... io ti desidero ogni minuto, Steph. Ma voglio aspettare che tu sia pronta.»
Annuisco. «Sì, è così.»
«Ma?» aggrotta la fronte. «C'è un "ma", giusto?»
Prendo un respiro profondo. «No, è solo che...»
Che cosa? Il mio cervello, in autonomia, ha iniziato a paragonare Gabriel a Carter, al freddo in contrasto con il fuoco, alla noiosa dolcezza con il desiderio estremo, alle maniere gentili con quelle brutali ma oneste.
Proprio come stabilito da quello stronzo, ripenso esattamente al mio corpo, al modo in cui reagisce in modo così diverso quando sono con uno e poi con l'altro.
Non c'entra niente. Ciò che provo, non c'entra niente.
E poi mi rendo conto di desiderare entrambe le cose, tutte e due le facce della medaglia, come se ne avessi quasi bisogno a giorni alterni.
Sto impazzendo.
«Niente» mi mordo la lingua. «Sono solo stanca, scusami, puoi riportarmi a casa?»
Gabriel rimane per un momento immobile, poi annuisce lentamente e mi accontenta all'istante. Afferra le chiavi della sua auto dalla tasca posteriore dei jeans e mi fa cenno di seguirlo fuori, senza neanche degnarsi di avvisare gli altri.
Ci salutiamo con un lieve bacio della buonanotte quando arriviamo davanti casa mia, poi sparisce dalla mia vista, svoltando l'angolo.

Il salotto è immerso dall'oscurità, come il resto della casa. Mi rendo conto che i ragazzi sono ancora qui, perché sento delle voci provenire dalla sala-relax in cantina. Probabilmente hanno deciso di rimanere a dormire, tanto il divano-letto che si trova laggiù è abbastanza grande per tutti.
Supero le scale con passo felino e la mente ancora in subbuglio. Mi infilo in camera mia e decido di concedermi un rilassante bagno, che mi auguro possa mettere pace ai miei pensieri contrastanti.
Non mi curo di chiudere la porta a chiave dato che ho il bagno privato, ma mi rendo conto di aver commesso un grande sbaglio. Faccio appena in tempo ad immergere il mio corpo nella schiuma, che il volto di Carter fa capolinea.
Mi copro istintivamente con le mani, ma poi mi rilasso quando mi rendo conto che non serve, che le uniche parti scoperte sono il collo e la faccia.
Incrocia le braccia al petto e sorride. «Sei tornata presto.»
Il cuore martella feroce contro il mio petto. «E tu dovresti uscire da qui.»
Si avvicina di un passo e con il tallone chiude la porta alle sue spalle, separandoci dal resto della casa. Fa scattare la chiave nella serratura, siamo soli.
«Credi che ne abbia intenzione?»
Deglutisco. «Vuoi torturarmi?»
Si siede sul mordo della vasca, sul marmo freddo e abbastanza ampio da sorreggerlo. «Voglio giocare» infila una mano nell'acqua.
Rimango immobile, in balia di lui e delle sensazioni che investono il mio stomaco con prepotenza. Aspetto la sua prossima mossa, perché non riesco mai a decifrare cosa gli passi per la testa.
«Giochi con me, Stephanie?» aggiunge, inchiodando i suoi occhi all'interno dei miei, profondi e ricchi di un sentimento sconosciuto, quasi pericoloso.
I suoi polpastrelli sfiorano la pelle bagnata delle mie spalle, facendomi rabbrividire. Non mi muovo, non emetto un solo suono, come una perfetta bambola pronta per donarsi a lui.
Scendono più giù, verso la curva dei miei seni, dove i miei capezzoli sono già turgidi. Ne sfiorano la superficie ruvida, mentre dalle sue labbra socchiuse fuoriesce un suono roco, eccitato.
Il suo volto si avvicina al mio, il suo corpo si sposta alle mie spalle. La sua bocca sfiora il lobo sensibile del mio orecchio, ed io piego la testa di lato, per permettergli l'accesso.
«Ti farei così tante cose...» sussurra.
Mi sfugge un gemito quando la sua mano supera il mio ombelico, addentrandosi in una zona proibita, fermandosi nell'interno coscia.
Non riesco a fermarlo. Non voglio che si fermi. Voglio che vada avanti, che si prenda qualsiasi cosa, voglio sentire il suo fuoco ardere. Voglio bruciarmi.
«Dimmi di andare via, Stephanie. Fermami.»
Mi sta supplicando. Al contrario mio, lui vuole una scusa per non concludere ciò che ha iniziato, vuole che io lo rifiuti, che gli dica ciò che vuole sentirsi dire. Cioè che ha vinto, che il gioco può anche terminare. Ma non lo farò.
«No, rimani e continua» mormoro, voltandomi in modo da allineare le nostre labbra, con un coraggio che solitamente non mi appartiene.
La sua bocca si piega di lato, in un sorriso incontenibile. «Dove? Qui?» e le sue dita sfiorano proprio il clitoride, che ha un sussulto.
Annuisco rapidamente e la mia mano vola sulla sua. L'espressione impressa sul suo volto è indecifrabile, ma il suo sguardo è ricco di desiderio. Forse il riflesso del mio.
«Mi ucciderai» ringhia, poi afferra il mio labbro inferiore tra i denti.
Il mio cuore fa una capriola. E azzero le distanze. Lo bacio, lui si lascia andare rispondendo con un sospiro, poi prende il comando. La sua lingua sfiora la mia, già pronta per questo incontro tanto atteso. Il contatto diventa subito focoso, vivo, ardente.
Le sue dita continuano a stuzzicare la parte più sensibile di me, accompagnate dal movimento del mio bacino che sta per raggiungere il culmine.
Mugolo contro la sua bocca, i nostri respiri accelerano, diventano affannati. L'eccitazione è troppo forte, devastante. Non ho mai provato niente di simile.
Non riesco a pensare, non sono lucida, sono soltanto drogata di lui. Non esiste nient'altro. Nessun brutto passato, nessun incubo, nessun timore. Passa tutto. Lui fa sparire tutto.
«Oh, Carter...»
E lo sento, due dita affondano dentro di me, con cautela inizialmente, poi prendono ritmo. Un ritmo sensuale, deciso, distruttivo. Un ritmo su cui danzo, senza vergogna, trasportata dalla corrente.
Poi mi rilasso all'istante, chiudo gli occhi e la mia testa vola all'indietro, si accascia contro le piastrelle, stanca. Sono senza fiato.
Mi ci vuole qualche minuto per ritornare in me, per capire cosa ho appena fatto, cosa gli ho permesso di fare. Di andare oltre, di superare i confini, di raggiungere ciò che non è mai stato di nessuno. Suo per la prima volta.
Quando trovo il coraggio di riaprire le palpebre per affrontarlo, la porta è socchiusa e lui non c'è più.

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