Capitolo 26

4K 94 2
                                    

Carter






I suoi lamenti arrivano alle mie orecchie. È sul terrazzo, ancora ubriaca, ed è notte fonda. Ancora prima che possa costringere al mio corpo a rimanere fermo esattamente dove si trova, ovvero dentro la mia suite, mi ritrovo a pochi passi da lei. È seduta su una poltroncina, le sue gambe sono divaricate, la sua mano posizionata contro il suo basso ventre contratto.
Sta male, la sua espressione sofferente parla chiaro. Evidentemente non regge proprio per niente l'alcol.
Mi muovo cauto, ma i suoi occhi si inchiodano su di me, come se avessero percepito una sorta di richiamo.
«Oh no, ti prego, non tu» biascica, per poi scoppiare a ridere e scuotere la testa.
Aggrotto la fronte e mi accovaccio proprio di fronte a lei. «Perché non io?»
Nel momento stesso in cui finisco di pronunciare l'ultima sillaba, il mio sguardo vola in basso, sulle sue gambe. E risalendo, mi rendo conto che non indossa alcuna biancheria intima. Il mio uccello ha uno spasmo.
Lei deve accorgersene, perché serra le cosce con uno scatto fulmineo, e le sue guance prendono fuoco. «Maledizione» si lamenta.
Sorrido malizioso. «Mi dimostri sempre di non essere così innocente come fai credere» dico. «Oppure hai lasciato le mutandine nella camera del tuo ragazzo?»
L'ultima opzione mi serra lo stomaco, perché non vorrei neanche considerarla valida, eppure devo. Ma la sua espressione mi convince del contrario, perché lascia ricadere il capo indietro e ride ancora più forte.
«Perché sei così tanto curioso di sapere se vado a letto con Gabriel? Sei geloso?» domanda, con voce lenta e impastata.
Mi tiro in piedi, mettendo della distanza tra di noi e chiudendomi a riccio. «Che cazzate.»
Lei mi imita, ma il suo corpo barcolla ed io la afferro per i fianchi, prima che possa ritrovarsi con il sedere a terra. Il suo dolce odore mi investe, mascherando anche quello di tutto ciò che il suo organismo ha ingerito.
«Mi piace come mi tocchi» mormora, poi si tappa la bocca con la mano, segno che probabilmente non avesse intenzione di dirlo ad alta voce.
I miei occhi la guardano affamati e lei deve accorgersene, perché fa passare il dito sul mio petto, lentamente e bloccandomi il respiro. Sono certo che sia l'alcol a farla diventare tanto audace, solitamente si immobilizza.
«Carter Baysen, tu sei un bel guaio, lo sai?» continua.
Le sensazioni che mi investono suono nuove, sconosciute. Il modo in cui il mio nome lascia le sue labbra mi fa venire voglia di zittirle con un bacio.
Che cazzo mi prende?
«Ragazzina, dovresti andare a letto» le dico, utilizzando il mio solito tono freddo e distaccato, tentando di controllarmi.
Perché è una cattiva idea, starle così vicino. E ne ho sempre prese tante di decisioni cattive, ma questa sembra la peggiore tra tutte.
Lei mette il broncio. «Ragazzina, vero? Eppure mi desideri... lo vedo, come mi guardi... mi fai sentire male.»
E maledetto diavolo, certo che la desidero. Lei è la mia tentazione in carne ed ossa, ma non posso dargli conferma di ciò che pensa. Non posso rischiare di mandare a monte un'amicizia per una scopata, né posso approfittarmi di lei, in queste condizioni.
Perciò mantengo saldo il mio autocontrollo e la trascino verso il bagno che condivide con Keira, fortuna che il suo lato della porta è chiuso.
La invito ad avvicinarsi al lavandino, io mi trovo alle sue spalle, i suoi occhi rimangono fissi su di me, attraverso il riflesso dello specchio. Le scappa un sorriso quando apro il getto dell'acqua e passo una mano sul suo viso, tentando di farla ritornare in sé.
«Me l'avevano detto che nascondevi un lato dolce, solo che non volevo crederci» si lascia sfuggire.
Le mie spalle si drizzano, ogni mio muscolo è in allerta. Lei si gira di scatto, i nostri nasi quasi si sfiorano. Serro le palpebre per un istante ma lei continua a provocarmi, spinge il suo corpo contro il mio, facendolo aderire da sopra i vestiti.
Un mugolio arriva alle mie orecchie, facendo aumentare la mia dannata eccitazione. La voglio, la voglio prendere adesso, qui, in ogni modo.
La sollevo, per farla sedere contro i bordi di marmo, le sue gambe circondano la mia vita, stringendola. Le mie mani vagano autonome, sfiorano il suo interno coscia, talmente morbido da farmi accapponare la pelle. Lei spinge la sua lingua tra i denti, per trattenere un gemito di piacere. I suoi occhi sono persi dentro i miei, in un tunnel pericoloso, che rischia di farci smarrire entrambi.
«Stephanie...» la avverto, ma non so ancora di cosa.
Lei posa un dito sulle mie labbra. «Vuoi baciarmi?»
Cazzo, sì. E non solo.
«Fallo, baciami» aggiunge in un sussurro appena udibile. «Dimostrami che è tutto finto, che non ti desidero.»
Il mio respiro diventa pesante, e le labbra si avvicinano, così tanto che credo stia per arrivare il momento tanto atteso. Perché non posso resisterle, non potrebbe nessun uomo. Sono una stupida falena, attirata da lei, che è luce troppo potente.
Ma la porta si apre di scatto e Keira ci guarda, ancora tutta assonnata, e decisamente confusa. La sua bocca forma una "o" quasi perfetta, i suoi occhietti si sbarrano, quando realizza.
«No, cazzo» mi guarda in cagnesco e mi spinge lontano dalla sua amica. «Ti prendo a calci in culo, fila via e domani faremo una bella chiacchierata.»
Scrollo le spalle, maledicendola in silenzio per averci interrotto. Ma forse è un bene che lo abbia fatto, perché solo Dio sa quale furia avrei potuto affrontare il mattino successivo.
Lancio un'ultima occhiata a Stephanie, che adesso appare contrariata, mette il broncio e si lascia accogliere da un lungo abbraccio di Keira, che la trascina con sé, fuori dalla mia portata.

La mattina dopo, il mio pensiero è fisso su Danny. Sono in ansia di sapere cosa abbia di tanto urgente da comunicargli, sua madre. Perciò gli mando un sms per fargli sapere che attendo notizie, il prima possibile.
Lui non risponde, ma credo che stia ancora guidando verso casa, dato che sono le otto del mattino in punto.
Tra i corridoi aleggia un silenzio spaventoso, perciò decido di dirigermi verso la sala delle colazioni, dove addento una brioches e assumo una buona dose di caffeina.
Faccio per accendermi una sigaretta, ma scorgo la figura del signor Brown, che parla con i suoi dipendenti, perciò mi trattengo. Poco dopo pure sua figlia Keira lo raggiunge. Ringrazia tutti gli operai, abbracciandoli in modo confidenziale, poi congeda anche suo padre con un caloroso sorriso.
Quando mi passa accanto, decisa a ritornare dalla sua amica che ancora probabilmente dorme, mi vede, pianta i piedi al pavimento e mi punta un dito contro.
Scuoto la testa e allungo una mano per tenerla lontana, per chiederle di posticipare di qualche ora il suo discorso, ma lei non mi ascolta.
«Che cosa avevi intenzione di fare, Baysen?» mi chiede in tono accusatorio, assottigliando lo sguardo. «Voglio proprio delle spiegazioni, e mi auguro che siano sufficienti per convincermi che quel ho visto è stato solo un grande malinteso.»
Sbuffo. «Keira, lasciami in pace.»
Dondola il dito davanti alla mia faccia, che mi fa venire voglia di staccarglielo a morsi. «No, devi parlare e devi farlo ora.»
«Che cazzo vuoi che ti dica, eh? Che stavamo per baciarci? Sì, se tu non fossi intervenuta, probabilmente» sbotto, allargando le braccia.
La sua mano colpisce il mio petto, uno schiaffo che percepisco a malapena. «Sei per caso impazzito? Lei è davvero una brava ragazza, Carter. Non ti permetterò di ferirla.»
Afferro le sue spalle, lasciando che la rabbia prendi il sopravvento. «Non voglio portarmela a letto, okay?»
Keira scoppia a ridere. «Ah, no? Perché ieri non mi sembrava la pensassi così.»
«Mi ha provocato!» alzo la voce.
«Era soltanto ubriaca!» urla più forte.
La mollo e indietreggio di qualche passo, devo sfogare la mia ira, così colpisco il muro con un calcio talmente forte che la fitta di dolore si propaga fino al polpaccio.
«Smettila! Cazzo, controllati» tuona Keira.
«E tu mollami» ringhio.
Lei mi fulmina con lo sguardo ancora una volta, poi sospira, arrendendosi. Sa che non vale la pena forzare troppo la mano, con me. Non quando sono in queste condizioni.
«Va bene, ma ti ho avvertito, voglio bene a te, ma voglio bene anche a lei perciò... lasciala in pace.»
E se ne va, perché sa che sarebbe inutile attendere una risposta da parte mia, non ho voglia di aggiungere altro.
Ma una cosa la so, a parte i suoi modi bruschi e poco ortodossi: ha fottutamente ragione.

GAME OVERDove le storie prendono vita. Scoprilo ora