Capitolo 28

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Adeline






«Com'è andata la festa?» chiedo a Noah, che è ancora sdraiato, mezzo nudo e coperto dal lenzuolo, sul suo letto.
Porta le mani dietro la nuca, flettendo i muscoli dei suoi avambracci. I suoi occhi scuri diventano improvvisamente cupi.
«L'hai ferita, e tanto, Ade. Perché non ci dai un taglio?»
Sbuffo. Non ho intenzione di cedere e di fare pace con lei. «È quello che si merita.»
«Ah, sì? È giusto rovinare un'amicizia come la vostra per quel coglione di Baysen?» s'infuria, senza neanche tentare di mascherarlo.
Assottiglio lo sguardo, decisa a tagliare l'argomento. «Basta, Noah.»
Ma lui non sembra d'accordo. Si alza in piedi e mi raggiunge in poche falcate, poi mi strappa la sigaretta dalle mani. Non sono un'incallita fumatrice, ma ogni tanto, specialmente dopo il sesso, non mi dispiace.
«Non dobbiamo più vederci» dichiara, guardando davanti a sé, oltre la finestra aperta.
Apro la bocca, poi la richiudo e la riapro, indecisa su come comportarmi e su cosa dire. Perché sono confusa, adesso, non riesco a capire la ragione di tanto astio.
«Che cosa significa?»
«Significa quello che hai sentito, Ade. Non ho intenzione di approvare ancora i tuoi atteggiamenti infantili» il suo tono è freddo e distaccato. Un estraneo.
Allargo le braccia e mi lascio andare ad una risata amara. «Ah, vuoi darmi torto? Bene, ci mancava solo questa.»
Serra la mascella e prende un respiro profondo, poi si volta e finalmente mi guarda. «È passato un cazzo di anno, e ancora pensi a lui, o credi... che cosa? Che prima o poi ti dichiarerà amore eterno? Non succederà mai, Ade. Non ti vuole. E stai allontanando tutti a causa sua!»
Le parole sono schiette e sincere, ma talmente velenose da colpirmi in pieno, al centro del petto. È cattiveria, questa. Sa quanto ho sofferto e rinfacciarmelo in questa maniera brusca, lo rende meschino tanto quanto tutti gli altri.
La mia mano scatta all'improvviso contro il suo volto, il sonoro schiaffo rimbomba oltre i muri della sua camera. Poi silenzio, sento solo i battiti del mio cuore spezzato.
Indietreggio. «No, Noah. Sei tu che hai perso me.»
Poi me ne vado via, perché mi sento ferita, un'altra volta, da qualcuno che credevo mi volesse bene. Lui non mi corre dietro, mi lascia andare, proprio come fanno tutti, sempre. Una ruota che si ripete all'infinito.
Mi sento una stupida, mi sento giudicata, mi sento sbagliata. E non dovrei sentirmi così. Non io, che non ho mai fatto un torto a nessuno.
Sono circondata da gente che tende sempre a farmi del male, e ora mi sono stufata. Di tutti. Perché lo so, ne sono certa, non me lo merito.
E Carter è soltanto la goccia che ha fatto traboccare il vaso, non è il punto cruciale. Anche se lo amo e lo amerò per sempre, questo non posso negarlo. Ma la coltellata che ho ricevuto da parte di Keira, che è sempre stata una sorella per me, non può reggere il paragone.
Si è presa gioco di me, mi ha mentito, mentre si divertiva alle mie spalle con lo stesso ragazzo che mi ha distrutta. Mi manca? Sì. Avrei voluto starle accanto durante il suo compleanno? Certo. Ma non riesco a dimenticare ciò che ha fatto, non riesco a perdonarla.
E ora si aggiunge anche Noah, al gruppo. Tra l'altro, senza neanche dare una spiegazione ragionevole al suo atteggiamento. È mio amico, maledizione!
Scuoto la testa e, mentre cammino per la strada, decisamente arrabbiata, mi imbatto proprio in Stephanie Dickens, che ha tutta l'aria di essere disorientata.
Nonostante il mio disappunto, richiamo la sua attenzione e la raggiungo, dall'altra parte del marciapiede.
«Hai bisogno di qualcosa?» le chiedo.
Lei si stringe nelle spalle. «Sai dirmi da che parte è casa di Danny?»
Piego la testa di lato, confusa. «Che ci devi andare a fare?»
Si morde il labbro, poi scoppia a ridere. «Okay, non prendermi in giro, ma ho lasciato le chiavi di casa... beh, dentro casa. E mio fratello è talmente stronzo da fregarsene, perciò, ho deciso di andare da lui e fargli il culo.»
Rido anch'io, perché questa ragazza è talmente genuina da farmi pentire anche del modo in cui l'ho trattata. È troppo buona, per i miei gusti. E poi non è mai stata lei il mio problema.
«Vuoi compagnia?» propongo.
Alza un sopracciglio. «Non mi odi più?»
Sorrido. «Non mi hai fatto niente, Steph. Non ti ho mai odiata.»
Allora annuisce e proseguiamo insieme, in silenzio, finché lei non decide di aprire bocca dopo un isolato.
«Ha pianto così tanto...» mormora.
Il mio cuore si restringe. Non ho bisogno di conferme, so a chi si riferisce. «Anche io, credimi.»
E non aggiunge altro, deve aver capito che non è facile nemmeno per me. Le sono davvero grata, per questo.

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