L'ulivo

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Si svegliò indolenzita, rannicchiata sulla dura terra. Una formica passeggiava sul dorso di una mano. L'aiutò a scendere e, riposata e affamata, scelse la colazione dallo zainetto.

Il nuovo giorno si preannunciava cupo almeno quanto il precedente. Il cielo si mostrava plumbeo e lattiginoso. Era l'alba ed era alquanto minacciosa.

Si guardò attorno con attenzione.

La collina e i monti s'adornavano sontuosamente di vegetazione mediterranea. Fichi d'india, ulivi, carrubi, fichi, gelsi, lecci, mandorli, arbusti di rosmarino adombravano l'oceano cespuglioso di hyparrhenia e di saracchio.

Muri bianchi a secco si allineavano a distanze regolari, in orizzontale e in verticale, lungo la scarpata. Davano sostentamento e riparo alla vegetazione e, a guardare bene, a inattese chiazze fiorite di timo e di capperi, di malva, di ginestre, di borragine, di piccoli crisantemi, tutti così a loro agio nonostante la calura, e a rovi di more mature e succose. Tale antica opera di pazienza delimitava un palcoscenico naturale a beneficio pure di lucertole e insetti e passeri, a tratti chiamati nella medesima scena.

Era l'alba e la vita già impigriva in una imperturbabile routine, in bilico fra celia e ferocia.

Entro il fazzoletto di terra in cui lei si trincerava, svettava solamente l'ulivo ma, in una peculiare tavolozza di colori, si spaziava dal bianco traslucido dei soffioni e di quello più netto dell'achillea al verde dorato dei frutti di azzeruoli, dal verde muschio polveroso delle ortiche al giallo odoroso del finocchietto selvatico, sino all'ocra arso dei cardi.

A ridosso della strada, lungo il pendio ma molto più a valle, un terrazzamento finale era pascolo di una dozzina di mucche, avvezze all'arte impropria dell'equilibrismo spicciolo.

Alla sua sinistra, invece, un'estesa zona nera e grigia era la conferma di qualche incendio estivo.

S'allungò a raccogliere delle 'nzarole (*).

Il vento rinfrescò e soffiò con maggiore veemenza, insinuandosi tra pietre, rami, capelli. Ora colmando ora schiudendo vuoti lamentosi. E, quel prolungato lamento mutò in melodia incantatrice.

In basso, le luci della città si spensero, una ad una.

L'inquietudine la colse.

Pensò di stirarsi e riposare ancora sotto l'ulivo che percepiva amico.

Distesa, stette a guardare la danza delle foglie appese ad un cielo tanto bieco. Iniziò una sorta di dialogo con le foglie e quelle, tra mormorii e cadenze ritmiche, le narrarono storie.

Si lasciò trasportare in uno spazio senza pensieri.

Chiuse gli occhi e sfilò via tutto quello che indossava. Sdraiata e indifesa, assaporò il contatto con la terra calda e compatta contro il corpo nudo.

Le sue mani la cercarono in una lieve carezza, per finire arpionate sin dentro la terra più molle e più fresca.

Il vento la sfiorava e le rubava brividi. Gli si abbandonò, vibrando, beata e grata di quel cumulo di sensazioni che riscoprì come nuove.

Sorrise all'ulivo, covando un senso di liberazione e ritrovando la punta sotterranea delle proprie radici.

L'ulivo lo sapeva.

Nel mistero di quel dialogo, l'ulivo le fece un dono. Le regalò la memoria.

Tra verdi cantilene e voci antiche, fluirono immagini e parole.

L'ulivo attese.

* * * * * *

(*): Il dialetto siciliano, come altri, ha caratteristiche eterogenee. Tra sfumature ed inflessioni, in provincia di Ragusa, le 'nzarole (dette anche "mele 'nzarole" o "mele azzarole", poiché somiglianti a mele minuscole, un po' malfatte e acidule) sono le azzeruole.

Prima delle rugiade biancheWhere stories live. Discover now