Il Fiore del Bosco

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Sono stanco e vecchio. Solo ora trovo il coraggio di ricordare quel passato quasi dimenticato, quel passato che avrei voluto dimenticare. Non ho più il timore di trascinare, verso di me, ricordi che potrebbero ancora ferirmi, perché sarò protetto dalla mia morte.

***

Era l'anno di nostro Signore 1619 e avevo da poco compiuto sedici anni.

Stavo radunando il gregge per scendere a valle. Il periodo da trascorrere ai pascoli alti era terminato e mi aspettavano diverse ore di cammino.

La mulattiera si insinuava fra abeti rossi e pini silvestri. Settembre portava con sé la bellezza della natura che si prepara ad affrontare l'inverno. Sentivo distintamente il profumo della resina.

Quando il sole fu nel suo punto più alto mi fermai a riposare in un'ampia radura, sotto una grossa quercia. Lì le mie capre sarebbero state tranquille. All'ombra avrebbero brucato erba fresca e io mi sarei tolto gli scarponi e i calzettoni di lana, per dare un po' di sollievo ai piedi stanchi.

Riposatomi, ripresi presto il cammino.

Le ombre si allungavano e il pomeriggio si stava portando via le ultime ore della giornata. Non mancava molto ed era già visibile il campanile della chiesa. Grazie a Dio, seppur ancora lontano, sarei giunto in paese.

Fu quando affrettai il passo che sentii la voce di una ragazza.

Non capii le sue parole, ma era evidente che avesse parlato a me.

Non capii le sue parole, ma era evidente che avesse parlato a me

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La vidi poco distante, vicina a un masso. Indossava un vestito abbastanza logoro, anche per un montanaro come me. Portava un cappuccio, ma capivo che poteva avere la mia età, forse alcuni anni in più. Lunghi capelli rossicci le scendevano oltre le spalle, ma furono i suoi occhi a colpirmi. Pensai subito che quegli occhi avessero per forza il colore del mare che non avevo mai visto, ma di cui qualcuno mi parlò.

"Sei un viandante?" mi chiese la giovane.

Fui preso alla sprovvista e stavo per fare la figura di un ebete. Cercai di trovare le parole che non mi venivano: "No, cioè sì. Viaggio se serve."

"Vedo che hai delle capre, sei dunque un pastore?"

"Sì, quello sì."

La ragazza mi aveva sorriso e per questo le mie parole uscirono con più naturalezza.

"Mi chiamo Matteo" e con velata spavalderia aggiunsi: "Tu... chi sei?"

"Il mio nome? Non saprei, ho tanti nomi."

Quelle parole mi diedero un nuovo senso di insicurezza. Non sapevo cosa fare. Fu ancora lei a rompere il silenzio che si era creato.

"Ho bisogno di un favore", i suoi occhi color del mare che non conoscevo mi fissarono, "... un favore da te."

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