Isola di Karpathos - parte 1

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I raggi del sole filtravano dalle persiane accarezzandomi il viso.

Erano da poco passate le sei del mattino, l'ora giusta per una nuotata, pensai.

Sbadigliai, mentre guardavo il mare poco lontano.

Non ero in quel luogo per una vacanza, ma essere su una delle isole greche più selvagge dell'Egeo rendeva questo aspetto verosimile.

Mi chinai sul lavandino, l'acqua in faccia mi tolse gli ultimi residui di sonnolenza. Dopo aver indossato un costume e una canottiera sportiva, mi buttai sulle spalle la sacca con la mia attrezzatura. Conteneva pinne da 60 cm, ottime per snorkeling, maschera e boccaglio.

"Morning", l'uomo alla reception mi salutò sorridente, non senza tradire il solito monotono cliché che sfoggiava nei riguardi di tutti quelli che gli passavano davanti.

Per non risultare troppo antipatico, risposi distrattamente con un "Kalimera", accompagnato da un sorriso forzato. Ci sarà tempo anche per attaccare bottone, agli isolani non marca certo la loquacità. Lasciai alle spalle il piccolo Hotel e presi un viottolo avvolto da buganvillea e oleandri. Era la via del mare, appena visibile sopra una boscaglia di tamerici.

Nella scelta del luogo avevo seguito un ordine di priorità. Tranquillità e breve distanza dal mare: sono le prime due posizioni della mia lista dei nice to have. L'aspetto della location, non troppo incline al turismo di massa, fu un altro punto a favore della mia scelta. Peccato non fosse una vera vacanza.

Una ragazza con pantaloncini attillati e reggiseno sportivo faceva jogging con cuffie voluminose sulle orecchie. Mi sorrise, qua tutti sorridono, anche i turisti, la cosa mi stava innervosendo: mi sentivo osservato, più di quanto fosse lecito pensare.

Sulla piccola spiaggia di sabbia bianca non c'era anima viva, il sole era salito oltre l'orizzonte. Entrai in acqua: era più fresca di quanto mi ero immaginato. Dopo pochi metri il fondo passò dalla sabbia ai ciottoli; misi le pinne e mi calai la maschera sugli occhi infilando il boccaglio sotto l'elastico; avvolsi le labbra attorno al morso e mi allungai in acqua.

La sensazione di freddo durò pochi secondi, subito rimpiazzata da un dolce tepore: le acque estive trattenevano il calore diurno e lo mantenevano fino al mattino, in attesa di essere di nuovo sferzate dal sole cocente.

Ad ampie bracciate mi portai subito verso il largo, volevo arrivare a uno scoglio, a circa duecento metri. La punta emersa era come quella di un iceberg, al di sotto dell'acqua si inabissava come un piccolo rilievo montuoso. La luce filtrava obliqua e illuminava con giochi di ombre un paesaggio che mi lasciava sempre esterrefatto. Pesci in cerca di cibo giravano tranquilli senza che si preoccupassero di me. Io osservavo tutto dall'alto, in attesa del momento giusto per scendere, come un falco che plana in attesa di una picchiata.

Oltre un banco di sabbia bianca incontaminata si ergevano rocce scure che svettavano verso l'alto, come cime impervie si staccano da una valle alpina. Un gruppo di piccoli pesciolini mi sfiorò ignorandomi.

Mi riempii i polmoni di aria, distesi le braccia in avanti e incurvai la schiena, come nel gesto di compiere un tuffo. Mi ritrovai in verticale nell'acqua e quando tutto il corpo si immerse, diedi degli energici colpi di pinna.

Scesi continuando a pinneggiare. Compensavo la pressione nelle orecchie premendo il naso e spingendo fuori l'aria senza espirarla. Lungo la parete di scogli incrostati di alghe e molluschi intravidi una stella marina, attaccata alla roccia, con il suo colore rosso corallo. Andai oltre, la mia attenzione era su un gruppo di flauti adagiati sul fondo. Mi osservavano incuriositi ma, come era facile immaginare, appena la distanza che ci separava divenne meno di un metro, si diedero alla fuga. Arrivai sul fondale e mi stabilizzai mettendomi orizzontale. Guardai in alto, la superficie del mare sembrava lontanissima e forse lo era. Una prima compressione del diaframma mi fece capire che era ora di risalire. Non aspetto quel segnale in genere, ma la voglia di rimanere sotto più del necessario mi era parsa maggiore del rischio di una sincope o di un arresto cardiaco.

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