Sorridere e annuire

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Il pendolo emise due semplici e dolci suoni, a segnare la mezzanotte. Non v'era altro elemento a turbare la quiete creata dal silenzio della notte. Nate si lasciò cullare dai suoi ricordi e si abbandonò al viaggio involontario della mente tra i sentieri inconsci dei sogni. Un cuore inquieto come il suo avrebbe trovato rifugio lì dove non sarebbe arrivata la mente a rimarcare i tarli creati con gli anni. Un posto puro e ricolmo di magia, come un'isola incontaminata o addirittura la sua infanzia, costellata di affetto, gioie e attenzioni delle persone più care.

Il suo sorriso riusciva a sciogliere anche i cuori più duri e nessuno poteva resistere al suono della sua ammaliante risata. E i colori degli occhi non si limitavano al castano, ma a qualunque sfumatura volesse dare ai suoi giorni.

Uno dei suoi successi fu quello di stringere, tra le braccia, la sua prima pagella. Oppure quella volta in cui vide due ragazzi ballare, con una dedizione e una bravura tali da sembrare uniti in un corpo solo. Da allora il ballo divenne la sua passione.
Non aveva mai immaginato il suo corpo muoversi in quel modo prima di allora. Il ritmo incalzante della musica si univa al desiderio dei suoi piedi di dare forma alla vita, di esprimere sè stesso senza limiti e senza regole. Una sensazione infinita di leggerezza l'avvolgeva, come quando un piccolo d'aquila, per la prima volta, spiega le sue lunghe ali per spiccare un volo libero senza confini, con la tenacia e la forza che non pensa d'avere.

Fece notevoli progressi in pochi mesi e vinse numerose gare, ma un giorno il sogno di ballare fu interrotto dalla notizia, della sua insegnante, che la scuola di ballo avrebbe presto chiuso.
Neanche la ricerca di una nuova scuola di ballo fu utile, in quanto nel suo paese le possibilità fossero molto limitate.

Nel contempo iniziò la scuola, ma i tre anni delle medie furono tutt'altro che sereni. I chili di troppo furono argomento preferito delle burle da parte dei suoi compagni. E niente, neanche le amicizie in classe sembravano dargli modo di riscattarsi. "Ciccione" era il suo buongiorno, il benvenuto di quella gente. E ne seguivano scherzi di cattivo gusto, schiaffi. Anche quando gli veniva chiesto da un insegnante di far parte di un gruppo, nessuno voleva che egli ne facesse parte.
Quegli anni non passarono in fretta, purtroppo. Con essi aumentò anche il suo peso corporeo. Crebbero paure, insicurezze e sempre maggiori punti interrogativi. Si sentiva sempre più protagonista di una fiaba in cui, vittima di un crudele maleficio, fosse stato costretto a vagare senza meta in una macabra foresta costellata da rumori, colori e presenze terrificanti. Il cibo era l'unica valvola di sfogo, in un'atmosfera ormai quasi priva d'aria per ricominciare a respirare. Maturò la consapevolezza che il problema  non  fosse il mondo, ma la gente che ci vivesse e che a volte, anzi spesso, ferisce senza riserve.
In una tale prospettiva, quale via d'uscita gli avrebbe potuto permettere di salvarsi? Al momento non riusciva a darsi risposte, quindi lasciò che i giorni facessero il loro corso, chiuso nel suo mondo interiore, e che il destino decidesse per lui.

Il soldato dagli occhi color cioccolatoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora