34. IN REBUS DUBIIS PLURIMI EST AUDACIA

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Un'altra giornata era trascorsa, portandosi dietro discorsi inutili. Anárion socchiuse gli occhi azzurri e nascose la loro espressione torva. Mise a fuoco la mappa e passò da un simulacro di legno all'altro, prima di ritornare a incrociare lo sguardo di Galanár.

"Siete testardo, nipote", commentò. "A quanto sembra, è parecchio difficile farvi mutare opinione".

Il principe replicò con un'alzata di spalle che fece trattenere il fiato agli uomini in piedi vicino a lui.

"Conosco il mio esercito, per questo insisto".

L'elfo sollevò un sopracciglio.

"Ma non conoscete il nemico e le sue tattiche. Lo avete ammesso voi stesso, l'ultima volta".

Galanár si passò una mano sulla fronte: quella pianificazione era quanto di più lontano dalle sue strategie potesse essere messo in campo, e la durata delle discussioni lo stava distruggendo. Rimpiangeva le sue riunioni con Mellodîn ed Aegis. A confronto con quelle interminabili trattative, le loro si riducevano a uno scambio di convenevoli.

"Non rischierò di nuovo la mia cavalleria", sentenziò, sperando di chiudere l'argomento.

"Quindi siete andato fino ad Arthalion solo per vedere una giostra, visto che siete tornato con questi soli uomini e non intendete nemmeno impiegarli in battaglia".

Il principe si lasciò sfuggire un gesto d'impazienza e dischiuse le labbra per ribattere, ma un'occhiata scoccata da Aegis lo fece desistere dal lanciare una risposta imprudente. Prese fiato e modulò la frase con tutta la calma che gli era possibile.

"L'assetto del mio esercito non è ancora perfezionato. E, in ogni caso, non ho risorse illimitate".

"La manovra a tenaglia è una delle strategie militari che più volte ci avete copiato", osservò il re elfo, con tono persuasivo. "Perché non vi sta bene?"

"Perché sarebbe rischiosa con questo schieramento e su questo terreno".

Anárion picchiettò con il dito sul legno per qualche istante, poi si levò in piedi di scatto.

"Orbene, riprenderemo domani. Per oggi credo se ne abbia tutti abbastanza".

Galanár stava per imitarlo, ma non fece in tempo a levarsi dalla sedia perché una voce, alle sue spalle, interruppe il suo gesto e lo obbligò piuttosto a voltarsi.

"Chiedo perdono, maestà. Avrei qualcosa da dire".

Anárion squadrò da capo a piedi il giovane che aveva osato rivolgersi a lui senza essere stato interpellato. I capelli, il viso, il taglio degli occhi gli restituivano l'impressione di qualcuno che aveva già conosciuto, in un tempo passato.

"Sei il figlio di Maldor, ragazzo?", chiese con una punta di fastidio.

Il generale rispose per lui, come a scusarlo e a giustificarlo allo stesso tempo.

"È mio fratello, il principe Aidanhîn".

L'elfo annuì.

"E cos'ha da aggiungere, il principe Aidanhîn, che non sia stato già discusso?"

A quel punto, Galanár sperò che il fratello avesse davvero qualcosa di intelligente da dire, ma l'attenzione che si era indirizzata su di lui aveva fatto intimidire il ragazzo. Mellodîn gli toccò la spalla, incitandolo a rispondere.

"Vi prego, non rimandate oltre questa decisione. Gli uomini cominciano a essere scontenti. Queste dilazioni non fanno che alimentare le voci sul vostro disaccordo, voci che non sono di alcuna utilità".

Tacque un istante, sentendosi addosso gli sguardi severi dei due generali, e si affrettò a correggersi:

"Dal momento che sono del tutto infondate".

Il figlio dell'Idra (Arthalion's Chronicles #1)Where stories live. Discover now