VIII

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La gravidanza si rivelò più difficile da portare avanti del previsto.
Il mio stomaco si indurì e presto la creatura che portavo dentro fece sentire la sua presenza, e non ci fu più bisogno di verifiche perché potessi accertarmi di essere gravida. Gli odori si fecero più forti, acerbi e amari, tutti i sapori divennero improvvisamente disgustosi ed ogni cibo si fece schifoso sulle mie papille.
Costretta a mangiare, spesso vomitavo la maggior parte di ciò che ingerivo - nonostante ciò, io che non avevo mai avuto problemi nel controllare il mio peso, mi ritrovai a perderlo e guadagnarlo in continuazione per mesi.
Durante le mie lezioni, i crampi mi colpivano senza preavviso facendomi quasi piegare in due dal dolore, e nel mio letto, fitte inaspettate mi trafiggevano come le lance degli spietati soldati spartani. Con le lacrime agli occhi, mi piegavo e vomitavo come se avessi da rigurgitare tutto quello che avevo mangiato nel corso di ventitré anni. A volte temevo che avrei rimesso un neonato, tanta era la forza con cui il cibo si spingeva fuori da me, e che la mia storia divenisse oggetto di racconti, come la mitica nascita del Minotauro.
La mia mente si fece distante, distratta, i miei movimenti più goffi e le mie dita più grassocce, i miei piedi ingombranti e le mie gambe pesanti.
Mi maledissi per aver lasciato che tutto ciò accadesse, e piangevo tra le braccia di Anattoria la vita che avevo avuto prima della gravidanza. Chiesi aiuto a zie e cugine perché mi dessero dei consigli e mi rivelassero qualche segreto per calmare il continuo tormento che il bambino mi stava provocando. Scrissi perfino a Bilitis, che mi rispose vantando la sua seconda gravidanza e raccontando nei dettagli come entrambi i suoi figli erano nati facilmente, praticamente scivolandole tra le gambe in autonomia.
Mi feci preparare intrugli e comprai erbe e medicinali di ogni tipo, riempiendomene la pancia e le narici. Feci lasciare dell'incenso fumante alla finestra, spalancare le tende e feci lunghe passeggiate in spiaggia e bagni nell'acqua marina e nel latte di capra e asina, annusai fragranze che avrebbero dovuto calmarmi e ingerii ogni tipo di mistura e brodone. Ma nulla sembrava funzionare, e ad ogni mio tentativo di calmarlo, mio figlio si ribellava e combatteva come un guerriero, come se fossi stata io ad imprigionarlo nella gabbia che era il mio ventre.
Quando la situazione si fece insopportabile, cacciai per la seconda volta le poche allieve rimaste, lasciando solo Anattoria. Le studentesse erano già abbastanza terrorizzate, spaventate dall'idea che una gravidanza difficile si sarebbe potuta rivelare contagiosa. Dovevo aver combinato qualcosa di davvero oltraggioso perché gli dèi mi punissero in quel modo.
Avrei dato alla luce un mostro, come Pasifae, la regina di Creta, o Toosa, madre del ciclope Polifemo? Il parto sarebbe stato ugualmente doloroso? E se avessi davvero offeso qualche divinità, che ora mi impediva di vivere tranquillamente la gravidanza? Bilitis aveva detto che avrebbe potuto paragonare i suoi crampi a dei semplici mal di pancia per aver mangiato troppi fichi, ed il parto fu veloce e semplice entrambe le volte. La invidiai più che mai, e mi ostinai a rileggere le sue parole ogni sera, consumata dall'invidia, dalla disperazione e dal dolore: non avrei dormito comunque. Allora perché Illizia non mi conferiva vita facile? Feci dei sacrifici, ma la dea sembrava avermi voltato le spalle. Pregai la mia cara Afrodite poiché mi consolasse, ma quelle poche ore di sonno che mi erano concesse erano cariche di incubi. Avrei dovuto forse correre per mari e pianure, scappando da qualche mostro che qualche divinità mi aveva lanciato contro come Latona?
Il mio seno si ingrossò assieme alla mia pancia, finché non riuscii nemmeno a vedere dove mettevo i piedi. Mi ritrovai a dover contare sulle mie serve, e a perdere parte della mia autonomia. Anattoria ed io camminavamo fianco a fianco. Anche lei cercò di consolarmi: danzò e suonò per me, mi tenne impegnata leggendo per me come io avevo fatto per lei in passato, mi portò pietre e conchiglie dal bagnasciuga, fiori cui odore non fosse troppo forte e cantammo assieme per distrarmi dal dolore. Carasso mi inviò pepli colorati e gioielli preziosi, giocattoli come piccoli cavalli di legno, dadi in avorio, oro e onice, biglie traslucide colorate e statuine e bambole. Da parte di Cercilia, che era lontano, arrivarono esultanze e candele profumate. Alceo mi mandò i suoi auguri e le sue congratulazioni. Finalmente sarebbe arrivato il figlio legittimo che sarebbe servito per far tacere le insistenti famiglie. Soprattutto, Cercilia avrebbe potuto lasciare la sua eredità ad un figlio, non uno zio, un fratello o un cugino.
«Dentro di me deve esserci un mostro o un semidio.» dissi massaggiandomi il ventre dopo essere riuscita a trovare una posizione confortevole sul letto.
Anattoria rise leggermente, ma nei suoi occhi vi erano compassione e pietà, assieme ad affetto ed orgoglio - puro amore. Col pollice mi accarezzò la mano, stringendola fermamente. «Magari un grande combattente.» suggerì.
«Forse.» risposi con un sospiro. Il bambino premeva su tutti i miei organi, lasciando che si schiacciassero gli uni contro gli altri, lasciandomi senza fiato. «Forse il mio parto sarà come quello di Atena, spinta fuori dalla testa del padre pronta alla battaglia, assieme a lancia, spada, corazza ed elmo...» sbuffai pesantemente.
Anattoria ridacchiò ancora. «Se fosse così» disse, «rimarrò al tuo fianco.»
Alzai il capo verso il soffitto con un altro sospiro esausto. Sapevo che in caso di parto difficile, il padre si trovava spesso a dover scegliere tra la compagna ed il figlio, di come schiave e serve bloccavano al letto da parto la partoriente mentre il suo ventre veniva aperto - il sangue sgorgava a fiotti e tra rivoli e schizzi rossi, la donna moriva dando alla luce al figlio. Mi chiesi se sarebbe toccato anche a me, dopo una gravidanza tanto difficile, e col cuore stretto dal terrore, mio figlio prese a scalciare. Poggiai la mano sul ventre, percependo i suoi movimenti sotto la pelle. Un senso di protettività mi invase e non potei far altro se non accarezzare la pelle liscia e tirata sotto la quale si dimenava mio figlio.
Non avrei fatto come mia madre, cui figli erano cresciuti distanti da lei, cui assenza rimbombava nelle loro vite.
Cleide aveva lasciato che l'ombra dell'odio per suo marito ed il destino che le era stato imposto oscurasse l'amore per i suoi figli. Io non avrei fatto lo stesso.
Chiusi gli occhi e sentii i nostri battiti sincronizzarsi. Un attimo di pace, mi dissi, con le persone che amo di più.
Il bambino crebbe in fretta, finché la mia pelle non riuscì a contenerlo e cominciò a strapparsi, tesa com'era, e su di essa si crearono segni più chiari come le increspature nella sabbia, così come sul mio seno e sulle mie gambe. A volte sentivo il bisogno di mangiare la terra e leccare la polvere da sotto i tavoli, c'erano giorni in cui avrei potuto lanciarmi dal mio balcone o piangere per ore. Le serve si scambiavano occhiate confuse ogni volta che ordinavo di far preparare un pasto strano che le voglie mi facevano bramare. Altre giornate, invece, scorrevano tranquille, tanto da farmi sospettare e preoccupare finché non sentissi il bambino scalciare dentro di me ancora una volta. In quei giorni, riuscivo a camminare e scrivere, mangiavo pere e cioccolata e mi cullavo sulla sedia a dondolo nella mia stanza. Scrivevo accarezzandomi il ventre, perché era su di lui che scrivevo - su mio figlio.
Arrivò la primavera ed io che non ero mai stata cagionevole di salute, soffrii un raffreddore senza fine tra starnuti e tosse continui, e così notte e giorno tenevo me stessa e mio figlio svegli tra allergie e crampi, coprendo la stagione della rinascita e della fertilità di inusuale malessere. Piansi ancora tra le braccia di Anattoria per le primavere gioconde e tranquille che avevo passato prima della gravidanza e nella mia infanzia, assieme ad Alceo.
E così, senza preavviso, la lettera arrivò.
Era un pomeriggio afoso, e io muovevo un ventaglio davanti al naso, indossando le vesti più leggere nella mia stanza. Il bambino era stranamente calmo, così come la natura attorno a noi, e Anattoria mi stava accanto come sempre, suonando la lira. Fu una delle serve a riferire la notizia.
Cercilia era andato disperso in un naufragio in una tempesta dell'est, in uno dei suoi viaggi. Mio figlio scalciò ed io rimasi in silenzio.
Mi recai ai funerali qualche giorno dopo e piansi la perdita non di un marito, ma di un caro amico, del padre di mio figlio.
Fu inaspettato ed improvviso come lo racconto, tanto veloce che piansi solo una volta tornata dai funerali, mentre le serve mi aiutavano a svestirmi e cambiarmi.
Ciò mi rese più sensibile. Più attenta. Sentii la morte più vicina che mai. La perdita ed il lutto, che mi avevano accompagnata per tutta la mia vita, ora le sentivo col fiato sul collo, ed i miei muscoli erano perennemente tesi. E se Tanato il triste mietitore fosse venuto a prendere anche me, e peggio ancora, mio figlio?
Mi stringevo il pancione e serravo le gambe perché potessi tenerlo dentro di me ancora più a lungo, perché non venisse alla luce in un mondo così pericoloso. Mi tenevo il grembo come se qualcuno l'avrebbe accoltellato se non fossi stata abbastanza attenta. Mi guardavo le spalle come se le serve che mi erano state fedeli per anni mi avrebbero attaccata da un momento all'altro. Avevo paura perfino a camminare, perché se fossi inciampata e caduta, ciò avrebbe potuto far del male a mio figlio.
Pur sentendomi la più vulnerabile tra tutti, non realizzai la forza che avevo guadagnato in quei mesi, e non l'avrei scambiata per nulla al mondo.
Sentivo di poter sfidare gli dèi.
Fissavo il buio, di notte, e pensavo che se l'oscuro Ade fosse apparso lì davanti a me col compagno Tanato e Zeus in persona per avere la vita di mio figlio, mi sarei alzata e sarei riuscita ad affrontarli a mani nude.
Chiusi gli occhi stanchi e scavati. Fatevi avanti, avrei detto. Perché l'uomo è destinato a morire, combatte più forte di tutti gli dèi per vivere. Affrontatemi e scoprite la forza delle vostre mogli.

𝐈𝐥 𝐂𝐚𝐧𝐭𝐨 𝐃𝐢 𝐒𝐚𝐟𝐟𝐨 | wlwDär berättelser lever. Upptäck nu