VI

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Era quasi l'alba quando vennero a bussare alla mia porta ancora una volta.
Un uomo, mi disse la serva, aspetta nel salotto. Un viaggiatore, un marinaio.
Anattoria sonnecchiava pesantemente nel suo giaciglio - ormai i suoi piedi avevano imparato a riconoscere quello come il luogo in cui riposare, e ogni sera la portavano sempre sulla strada verso la mia camera. Io mi alzai e lasciai che il mio ospite aspettasse. Con atteggiamento nobile e pudico mi preparai per fronteggiare quell'uomo che pretendeva ascolto, chissà per quale motivo. Perché un viaggiatore dovrebbe mai recarsi al Tiaso di una sacerdotessa di Afrodite, quando a quelli come lui era richiesta solo una preghiera al dio del mare per fare un buon viaggio?
Intrecciai i miei capelli come ero solita a fare dopo essermi lavata, per poi indossare il chitone. La primavera del secondo anno era alle porte. Mi truccai e nello specchio vidi il borioso riflesso di mia madre.
Vestita di tale regalità, lasciai che due delle mie serve mi accompagnassero per i corridoi e verso il salotto dove l'uomo mi aspettava.
Subito le congedai con l'ordine di portare cibo e vino quando vidi il volto del trasandato marinaio.
«Carasso.» non potei che sorridere nel vederlo. Indossava vesti semplici, ma pregiate. Aveva lasciato crescere la barba, ora spumosa per la fretta. I suoi occhi scuri guizzavano di preoccupazione, nervosismo. Uno sguardo che avevo già visto in passato, ma ora tutto era cambiato. Era maturato, il suo corpo si era fatto robusto ed i suoi muscoli si erano gonfiati, dal bambino minuto e passivo che era stato, divenne un viaggiatore esperto. Le sue mani erano callose, le dita dure intrecciate tra loro, i suoi gomiti appoggiati sulle sue ginocchia. Sembrava stanco, gli occhi marchiati da ombre scure.
Mi sedetti sulla mia solita poltrona, mentre lui alzava lo sguardo verso di me. «Saffo, sorella mia...» la sua voce era diversa, forte. Quasi vacillai quando ne sentii la profondità. «Ho bisogno del tuo aiuto.» disse. Una delle serve ci fornì dei calici e delle olive e io la ringraziai distrattamente con un movimento della mano.
Io però ero traboccante di gioia fino all'orlo e non notai le sue preghiere. «Cosa ti porta da me? Quali avventure hai vissuto in questi mesi, anni? Dimmi, ti piacciono le poltrone? Cosa ne pensi del vino? È la cosa più vicina all'ambrosia che assaggerai.» dissi, sorridendo con un ghigno così largo sul mio viso che per un istante pensai che i miei muscoli si sarebbero strappati. Ma non mi importava. «Un navigatore come te di certo non ha bisogno di ingraziarsi la dea Afrodite, perciò so che tu sia venuto a visitarmi per affetto, o sbaglio? Ti prego, sono curiosa di sapere tutto ciò che ne hai fatto della tua vita, parla.» e lasciai spazio alle sue parole, tentando di domare la mia felicità.
Quello sospirò, passando l'indice sul bordo del calice, come se stesse riflettendo. Come se stesse esitando. «Saffo, ho fatto molte cose, e ti spiegherò tutto, ma ho bisogno che tu ti calmi.» disse, quasi in tono da rimprovero. Fui sorpresa, ma mi sistemai sulla poltrona e la mia espressione si fece seria, la pelle intorno ai miei occhi ancora tirata dopo quel mio grande sorriso e le mie guance ancora un po' rossicce. «Dimmi.» dissi piano. Mi sembrò di realizzare quanto fosse cresciuto solo in quel momento, come Penelope che realizza la maturità del figlio, io non potei fare altro se non ammirare l'uomo che era diventato.
«Ho attraversato tanti mari e visitato tanti porti quanti ce ne sono, fuori e dentro la Grecia, ho conosciuto navigatori e marinai, pescatori e mercanti, donne e uomini di ogni genere e ho assaggiato cibi e ascoltato lingue molto diverse da quelle che conosciamo noi. Ho fatto più esperienze di nostro padre e imparato altrettante cose in breve tempo. Ho barattato, comprato, venduto, litigato...» spiegò, «ti ho portato anche dei doni, ma quelli sono di secondaria importanza.» quasi mi commossi, ma rimasi imperturbabile. «E ora, a causa dell'amore che tu tanto professi e di cui scrivi molto, rischio l'onore del nome e della famiglia.» annunciò. «Ho incontrato una donna.» concluse.
Io battei le palpebre, intrigata. «Chi?»

«Rodopi è il suo nome.» disse, «Era una cortigiana, ma io l'ho comprata perché il suo canto è come il fruscio delle foglie, la sua bellezza imparagonabile e la sua mente tanto acuta quanto tagliente...» spiegò velocemente, quasi a giustificare le sue azioni davanti a me. Notai una punta di imbarazzo in lui, nei suoi occhi, nel suo tono. Anche questo mi era familiare.
«L'hai comprata.» ripetei, «Era una prostituta.» osservai, e me ne pentii subito.
«Era.» sottolineò, i suoi occhi ridotti a due fessure come quelli di un uomo che non vede bene. «Era, e non lo sarà mai più, perché intendo farla mia moglie.»
Lo fissai scioccata. «Carasso, cosa stai dicendo?»
«Voglio che Rodopi sia mia moglie.»
«L'hai comprata, ti sta ingannando!» dissi subito. «Proprio per le tue ricchezze...»
«Non osare! Non l'hai mai incontrata!» sbottò, «Questo sarà un matrimonio per amore, a differenza del tuo, Saffo, che non dà nemmeno frutti.» sibilò. Sembrava volermi fare del male con quelle parole, ma io non riuscii a realizzarlo subito. Era in piedi, con fare difensivo, ed io ferma sulla mia poltrona col calice pieno in mano. «Carasso...»
«Io intendo sposarla. Ho pagato una grande somma per averla, e non mi tirerò indietro ora.» mi interruppe, «La sposerò qui, nella mia madrepatria.» aggiunse.
«Carasso, la famiglia non te lo permetterà.» dissi pazientemente, alzandomi anch'io dopo aver poggiato il calice sul tavolino. «Non metterti in imbarazzo.» lo pregai, ma lui si scansò, evitando il mio abbraccio.
«No.» ringhiò, «No. Non ho intenzione di sposarmi per il volere di nostra madre, dei vecchi...io la voglio e lei vuole me. Il nostro amore va oltre quello che tu hai provato e proverai nella tua vita.» disse, nervoso. Io lo fissai. «Carasso...» non c'erano parole che mi sembravano adatte alla situazione.
«Intendi quindi aiutarmi?» chiese infine. «Oppure dovrò vedermela da solo?»
Sospirai. «Ti sta ingannando, Carasso.» gli dissi semplicemente. Sembrava un animale in gabbia. «No, no.» ripeté, «No, te lo proverò.» disse, «A te e al bastardo di Larico, e il resto della famiglia.» i miei occhi si fecero larghi come quelli di una civetta alle sue parole. Avrebbe potuto usare tale linguaggio per mare, ma non nel mio Tiaso. «Carasso.» al mio cambio di tono, si fece silenzioso.
Poi parlò di nuovo. «Saffo, ho bisogno di te. Ti farò conoscere Rodopi, e solo il suo sguardo intenerirà il tuo cuore.» disse. «E tu difenderai il nostro amore.» concluse.
Io sospirai. Non si sarebbe arreso facilmente, a quanto pare. «Va bene, Carasso.» feci una piccola pausa, sedendomi ancora sulla mia poltrona dai ricami dorati. «Dimmi, dov'è?»
Quello esitò un attimo. «Sulla mia nave.»

𝐈𝐥 𝐂𝐚𝐧𝐭𝐨 𝐃𝐢 𝐒𝐚𝐟𝐟𝐨 | wlwWhere stories live. Discover now