Capitolo 176: Sabato, 16 giugno 2012

Začít od začátku
                                    

Sempre.

Anche dopo che si era ammalata. Se noi eravamo insieme, riuscivamo lo stesso ad essere felici, e questo nessuno me lo potrà portare via.

Accendo la radio e passo in rassegna i cd che sono sulla mensola a prendere polvere, alla ricerca di uno in particolare.

Lo trovo.

Lo metto.

Asia si volta di colpo a guardami e un secondo dopo il suo viso è completamente bagnato di lacrime, come il mio, ma entrambi stiamo sorridendo.

Last Christmas, I gave you my heart,
but the very next day, you gave it away.
This year, to save me from tears,
I'll give it to someone special...

È quasi come essere ricatapultati indietro a quella mattina di gennaio, è quasi come se così potessimo vederla mentre balla e ride; mi sembra addirittura di sentire il profumo dei pancake.

Allungo una mano verso Asia, sorridendo, e lei si alza e la prende; ci abbracciamo e poi iniziamo a ballare, e a ridere, finché non arriva papà a interromperci, molto scuro in volto.

Non sembra avere apprezzato molto questa mia iniziativa.

Per niente, proprio.

"Che state facendo? Cos'è questa musica?" ci chiede con tono piuttosto risentito. "Spegnetela subito."

"Perché?!" ribatto io guardandolo dritto negli occhi.

"Non devo spiegartelo io, il perché. Lo sai benissimo."

"Ma..."

"Spegnila, ho detto" mi ordina in modo autoritario. "Subito".

A me non resta che spegnerla, ma stringo i pugni e la mascella, molto contrariato, e non riesco a starmene zitto.

"Ma cosa c'è di male, scusa?!" esclamo alzando la voce, che però esce strozzata. "Adesso non siamo liberi di goderci i bei ricordi?!"

"Non servono a niente, i bei ricordi. Fanno male e basta".

Mi parla come se stesse parlando a uno dei suoi sottoposti e mi fa girare le palle a elica quando fa così. Al tempo stesso però gli trema il mento, ha gli occhi lucidi, e anche lui sta stringendo i pugni; vederlo così non mi lascia indifferente e vorrei tanto riuscire a parlare con lui apertamente, senza che mettesse tra noi questo muro di dolore.

"Papà..."

"Basta. Finisci la colazione che tra poco dobbiamo andare" dice indicando il tavolo.

"Quella è la colazione di Asia" gli rispondo stringendo le labbra. "Io devo fare il prelievo, lo hai dimenticato?"

"Ah già... Vatti a vestire allora".

Ho indosso solo un paio di pantaloncini e il suo sguardo ricade sulla mia gamba. Io oggi non l'ho ancora guardata, ma mi basta vedere la sua espressione (oltre al fatto che mi fa dannatamente male anche a star fermo) per immaginare che è messa da panico.

"Vado" dico mentre mi viene di nuovo da piangere.


Me ne voglio andare.

Siamo sicuri che non me ne posso andare?

Per come è ridotto papà, credo che non si incazzerebbe nemmeno. Anzi, probabilmente sarebbe un sollievo per lui non doversi preoccupare dei referti di questi esami.

E sarebbe un enorme sollievo pure per me, non dovermi preoccupare dei referti né tantomeno di doverli fare.

Me ne voglio andare.

Leo (Io non ho finito)Kde žijí příběhy. Začni objevovat