V.

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Nicole lasciò che l'acqua bollente le cadesse pesante sul viso, per accarezzarle ogni centimetro di pelle e sparire nello scarico della doccia, mentre lei rimaneva ferma, immobile, con i pugni ben chiusi e il collo stirato verso l'alto, per sentire il calore dell'acqua su ogni centimetro di faccia, e sentire la schiuma dello shampoo scivolare via per lasciare nella folta chioma castana il familiare profumo di miele e lavanda.
Lyall aveva detto che l'allenamento era stato grandioso, ma lei si era sentita tutt'altro che grandiosa. Si era vista lenta, priva di riflessi, a dir poco mediocre. Si era sentita indegna, infastidita dal freddo, nonostante, da che avesse memoria, il freddo non era mai stato un problema, non dopo che la scopa si era alzata in volo, dandole l'illusione di poter rimanere a parecchi metri di altezza di distanza da chiunque per quanto tempo volesse.

Tirando un lungo sospiro, spense il getto d'acqua e si costrinse ad uscire dalla doccia. Si avvolse in un pesante accappatoio di spugna e collegò il telefonino alla cassa Bluetooth che Gabriel le aveva regalato una manciata di anni prima. Lasciando che Bad Romance, di Lady Gaga, le invadesse i timpani senza chiedere permesso, si preparò a lasciare il bagno e sentire le lamentele della sua compagna di stanza Maybelle per aver occupato il bagno per più di mezz'ora.

«May?» chiamò, appena rientrata in stanza.
Un rapido sguardo intorno a sè le bastò per capire che Maybelle non c'era, ma il suo gatto, Casper, la fissava da sopra la scrivania con i suoi giganti occhi verdi.

Maybelle era la figlia che tutti vorrebbero avere: ottimi voti, mai un capello fuori posto, Prefetto Grifondoro, aveva sempre il sorriso stampato in faccia, non dimenticava mai niente e ogni mattina le dava il buongiorno. Erano amiche, in qualche strano modo, ma Nicole era disordinata, spesso di cattivo umore, occupava il bagno troppo a lungo e si scordava sempre i compiti di Incantesimi o di dire buongiorno.

Casper inclinò leggermente la testa.

«Ho di nuovo dimenticato qualcosa, non è vero?»

Casper inclinò la testa di più, mentre Nicole si stringeva nelle spalle e si guardava attorno. Dopo un lungo sbuffo e un'attenta selezione della prossima canzone scorrendo con il dito sullo schermo del telefono, recuperò i pantaloni della tuta che usava per dormire e una vecchia canottiera bucata sul fianco. Si infilò un maglione di cachemire beige che le aveva regalato zia Martha, e avvertì il chiaro bisogno di andare da qualche altra parte, possibilmente dove non ci fossero gatti bianchi che la fissavano o il suo imbarazzante disordine tutt'attorno a lei.

Alla fine, era contenta che Maybelle non ci fosse. Non che non le volesse bene, anzi erano ottime amiche: ma Nicole, ogni tanto aveva un tremendo bisogno di rimanere sola con sé stessa. E non era cattiveria nei confronti di nessuno, e per fortuna, i suoi amici lo sapevano.
Raccolse gli anfibi e se li infilò di fretta, scollegando il telefono dalla cassa per attaccarlo agli auricolari, e recuperando al volo un pacchetto di sigarette dalla tasca della divisa, lanciò un veloce saluto a Casper e lasciò che la porta sbattesse alle sue spalle.

A volte, avvertiva un senso di solitudine che le soffocava il respiro e le riempiva il cervello. Sapeva di non essere sola: era sempre stata circondata da persone che per lei volevano solo il meglio, e fin da quando era bambina le era stato ripetuto di non accontentarsi e di ricordarsi che avrebbe sempre avuto una casa in cui tornare. Remus le aveva persino dato una copia delle chiavi di casa, e zio Aaron aveva inventato un sistema di corrispondenza via gufo apposta per tenersi in stretto contatto con lei anche quando era in missione in qualche angolo sperduto del globo.

Nicole sapeva di non essere sola, sapeva di essere circondata da persone che l'amavano e che avevano sempre cercato di non farle sentire neanche per un secondo la mancanza di sua madre.

Si mise seduta sotto un'arcata del cortile della torre con l'orologio, mentre negli auricolari prendeva il via One, degli U2.

Sapeva di non essere sola, e non aveva mai avuto motivo di sentircisi.

Però, a volte aveva la necessità di rimanere sola. Aveva bisogno di non avere attorno nessuno, di non dover fingere di sorridere se non ne aveva voglia, di non prestare attenzione a discorsi per cui non era sicura di avere un reale interesse.
In momenti come quello, non poteva fare a meno di sentirsi tremendamente sbagliata: perchè tutti riuscivano a passare la maggior parte della loro giornata circondati da persone, e lei aveva quel bisogno di estraniarsi?

Un paio di anni prima, ne aveva parlato con Gabriel: lui, da bravo fratello maggiore, le aveva detto che non c'era niente di sbagliato in lei, ma che semplicemente, le persone funzionano in modo diverso.

Lei aveva deciso di prendere quella risposta per buona: le persone funzionano in modo diverso.

Lei, evidentemente, per funzionare aveva bisogno di sentirsi sbagliata ogni tanto. Aveva bisogno di fermarsi, di chiedere al mondo di aspettarla per qualche minuto qualche ora o forse addirittura un paio di giorni, perchè doveva sedersi da qualche parte e controllare che tutti gli ingranaggi fossero al loro posto, lasciare ricaricare le batterie, guardarsi per un po' allo specchio e ripetersi le più che valide motivazioni che aveva avuto per fare determinate scelte piuttosto che altre, e poi ripartire sorridendo, ridendo con Lyall, prendendo in giro Ted, confidandosi con Anastasia, pregando Maybelle di passarle il compito di Incantesimi, raccontando a Gabriel le sue giornate in ogni minimo dettaglio, certo che lui la stesse ascoltando con pazienza e dedizione.

Le persone funzionano in modo diverso.
E se c'era una cosa che aveva imparato era che non si può mai sapere cosa passi per la mente delle persone: quindi, tanto valeva lasciarle fare. Sicuramente, anche se non lo sanno, stanno rispettando il disegno più grande che qualcuno aveva progettato apposta per loro.
Per questo si era sforzata di non trattenere mai nessuno accanto a lei.

Una volta, zia Martha le aveva detto che sua madre era credente: Nicole non poteva dire di essere credente, ma sicuramente, se ne avesse avuto la possibilità, avrebbe creduto in sua madre.

E forse, si era detta un paio di volte, quei momenti non erano che un modo per sedersi accanto a sua madre e parlarle senza aprire bocca, raccontarle cosa le passasse per la testa e farsi consigliare, appoggiare la testa sulla sua spalla e convincersi che non ci fosse niente di troppo grave per non essere risolto con una tazza di tè e una buona dormita.

Alzò lo guardo, per allontanare l'attenzione dal castello e lanciarlo nelle stelle.

Una dolce lacrima le colorò la guancia. «Ciao, mamma»




NdA: ce l'avevo lì da un po', non so perchè non lo avessi mai pubblicato. Oggi ho riaperto il file di questa storia perchè ho qualche idea... sperando non vi siate dimenticati di me.  

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⏰ Última actualización: Jul 01, 2023 ⏰

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