7 - THERE WILL BE 𝑆𝑂𝑀𝐸𝐵𝑂𝐷𝑌'S BLOOD (p.2/2)

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Areth non amava le lunghe conversazioni. Lo mettevano a disagio. Da bambino balbettava ogni due per tre e, quando tentava di filarsela, un nuovo interrogativo, spesso pronunciato da adulti impiccioni, l'agganciava per il colletto della maglia e lo inchiodava sul posto. A soffrire.

Ora, a diciassette anni compiuti, di rado si faceva cogliere impreparato. Per questo che si stava dannando dall'intera mattina, seduto in un cubicolo di due metri per tre mentre ignorava la spiegazione del solo professore disposto a fargli lezione: era stato costretto a intraprendere una lunga quanto ostica conversazione con Josh.

Sono stato un idiota a chiedere a lui, si ripeteva. Ma in cuore suo sperava. Forse terrà la bocca chiusa. Infine, sospirava, disilluso.  Mi disprezza, certo che non lo farà e...

Scosse il capo. Ci avrebbe pensato quella sera. Ora, davanti ingresso di betulla e rabeschi d'oro della Boutique Tullé, aveva altro di cui occuparsi.

Andò diretto all'ufficio della responsabile. L'aspettava. Abbassò la maglia ed entrò. Tullé, col capo avvolto da un turbante d'un accecante fucsia che risaltava gli intrichi dorati sulla pelle e i grandi occhi gialli, era china a inchiostrare bozzetti, borbottando talvolta un mugugno d'insoddisfazione o uno squittio pago. Ecrù, invece, giocherellava con i fogli accartocciati.

Areth sorrise. Aveva assistito spesso a scene del genere. In quei tre anni, la Wizja e la sua Boutique erano stati un porto sicuro; lo trattava come chiunque altro tra i Privilegiati e gliene era grato.

«Tullé» chiamò. «Disturbo?»

La sarta sollevò repentina lo sguardo. Sorrise di un riso bianchissimo. «Caro, certo che no. Entra pure.»

La raggiunse. «A cosa lavori?»

«Sui modelli per il Proclama di quest'anno. Devono essere perfetti.» annunciò sibilante e, danzante nella sua lunga tunica a maniche larghe coordinata al copricapo, s'alzò. Le molteplici catenine che portava al collo tintinnarono. «Come posso aiutarti, caro? I guanti non vanno?»

«Sono perfetti» rassicurò. Poi si sfilò la giacca e gliela porse, rammaricato. «Si è... strappata.»

Le mani scure della Wizja l'agguantarono sapienti e la rivoltarono finché non rivelarono lo squarcio sfilacciato sul retro. Le bastò una leggera pressione in più e l'intera cucitura posteriore si dissolse. Lì, gli scoccò un'occhiata gialla e severa. «È la seconda, Areth. In due giorni.»

«Mi dispiace.» rispose, sincero.

«Devi stare più attento, caro. Sai che l'Accademia ordina pochissima stoffa grigia.» sospirò, ma presto sorrise. «Sei fortunato che tu mi stia simpatico. Anche se dovresti dormire di più. Non farmi preoccupare.»

«Grazie, Tullé.» ricambiò Areth.

«Accomodati. Prendo il necessario e arrivo in un oplà!» squillò baldanzosa la sarta, procedendo ad armarsi di polsino porta spilli e del metro.  Poi si blocco sul posto e, apprensiva, squittì: «Caro, cos'hai combinato al collo? Sei rosso.»

«Come?»

«Ti sei grattato? Non dovresti, sai? Non è una buona abitudine.» ammonì affettuosa. Dopodiché, si avviò.

Impensierito, Areth andò allo specchio e osservò. In effetti, il collo era arrossato; su una carnagione chiara quanto la sua spiccava quanto l'inchiostro sulla carta. Inclinò il capo alla sua sinistra provò un forte fastidio e la pelle gli tirò. Non poteva essere il risultato di uno sfregamento.

Allora slegò la cravatta, slacciò il primo bottone della camicia, abbassò il colletto e strabuzzò gli occhi azzurri: il rossore inglobava l'intera base del collo, arrivando sino sotto alla clavicola. E non si fermava.

L'Accademia dei Privilegiati di HemeraDove le storie prendono vita. Scoprilo ora