1 - SUE BERTRÁN

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Sue correva.

A perdifiato.

Sulla pelle le sferzava un vento pungente, alla stregua di quello delle prime giornate invernali. Il sole era freddo, ottenebrato da nubi livide; presto sarebbe scoppiato un violento temporale.

Ma correva.

Era scalza, con solo una veste bianchiccia a difenderle il corpo, e il terreno, una distesa verde aggressiva, le feriva i piedi: l'erba era tagliente e i sassi, anche i più piccoli, si intrufolavano nella carne.
Ma, incurante, correva.

Perché un uomo, ricurvo e berciante, bardato da un abito lugubre e scuro come la pece la stava inseguendo. Era lontano, ma l'avrebbe raggiunta; lo faceva sempre.

La tormentava: con il suo sguardo infuocato, le sue movenze anchilosate e la voce graffiante, la teneva prigioniera in quella villa degli orrori, raccapricciante e luttuosa. Ma finalmente...

Correva.

Verso la libertà, in direzione dell'imponente cortina di querce dalle radici esposte che circondava la villa. Quella era il confine; una volta sorpassata, sarebbe stata libera. Avrebbe potuto rincominciare da zero.

Ora, le querce, possenti e dalle chiome floride e tinte di un precoce rossore, erano dinanzi a lei. Il tentativo precedente era stato un fallimento, ma era stata colpa sua: si era imbambolata davanti alla barriera di alberi a osservare il folto e intricato nido di radici anziché saltarle. Era stato un grave errore.

Ma ora no. Sarebbe stato diverso. Non si sarebbe fermata, non avrebbe badato al dolore ai piedi o al respiro frenetico. No, avrebbe avuto in seguito il tempo di placare il fiato e curare i graffi.

Questa è la volta buona, si disse.

Affrontò i pochi metri che mancavano con decisione e un fremito attorno al cuore. Sarebbe bastato un salto, uno solo, per sorpassare le radici che invadevano incattivite il suolo. Un salto e il suo desiderio sarebbe diventato realtà. Per sempre.

Sì! È il giorno!

Accelerò, incurante della veste svolazzante e della voce arrocchita alle spalle che strepitava, caricò le gambe affaticate e, a pochi centimetri dal groviglio legnoso, non esitò: saltò.

Ecco! Sono libera! E sorrise. Fu leggera come l'aria. Dopo innumerevoli tentativi, sorvolava le radici delle querce che la incarceravano. La libertà era davanti a lei in tutta la sua bellezza radiante, un futuro diverso che...

Sbiancò.

Una morsa massiccia le attanagliò lo stomaco all'improvviso. Accusò il colpo con una smorfia scomposta e volse lo sguardo scuro verso il basso: attorcigliato alla sua vita, stropicciandole la camicia da notte di seta, c'era un robusto ramo nodoso e grinzoso.

«Oh, andiamo!» vociò indispettita. «Sul serio?! Han! Malefica megera! Razza di...» non poté concludere la frase perché una grossa foglia di quercia le tappò la bocca alla stregua di un bavaglio. Ciò che disse in seguito si tramutò in strampalati mugugni inarticolati e, con un colpo secco, fu strattonata all'indietro, a mezz'aria; i capelli lunghi le frustarono il volto. Iniziò a prendere a pugni il ramo e a scalciare nel vuoto, adirata.

«Miss Bertrán! Miss Bertrán! Non si agiti! Potrebbe farsi del male!»

A gridare fu la voce cavernosa del suo inseguitore: Bonifaas, il maggiordomo. Era sotto di lei, affannato dalla corsa. La pelle incartapecorita era percorsa da rivoli di sudore. Arrivava dal punto di partenza di Sue: la grande villa alabastrina dai sentori neoclassici della famiglia Bertrán, che in quel momento era un punto bianchiccio che troneggiava sull'immenso giardino.

L'Accademia dei Privilegiati di HemeraDove le storie prendono vita. Scoprilo ora